"La notte in cui Pessoa incontrò Filippo Bentivegna" (
Melqart Communication Editore) è il racconto di un
incontro immaginario, virtuale, tra il grande scrittore portoghese ed
uno sconosciuto, analfabeta, scultore primitivo di Sciacca, Filippo
Bentivegna. Due vicende esistenziali che corrono parallele sul finire
del 1935. Cronaca di momenti della vita quotidiana che accadono nello
stesso giorno, nella stessa ora, negli stessi minuti a migliaia di
chilometri di distanza. Il libro - tra i cinque finalisti al Kaos Festival, in programma il 25 e 26 gennaio a Montallegro (AG) con Giacomo Pilati presidente di giuria - è stato scritto da
Vincenzo Catanzaro, che
Fattitaliani ha intervistato.
Potrebbe spiegare in sintesi chi è Filippo Bentivegna?
Filippo
Bentivegna, scultore analfabeta ed artista visionario, rappresenta
oggi una delle figure più significative della cosiddetta art brut. Nato
nel 1888 e morto nel 1967, trascorse gran parte della sua vita a
Sciacca e, particolarmente, in un podere di contrada Sovareto che
trasformò in quello che oggi rappresenta un unicum a livello mondiale.
Un museo a cielo aperto, un luogo che Bentivegna chiamò Castello
Incantato e che egli popolò di migliaia di sculture, volti di uomini e
donne o semplicemente teste, come egli le chiamava. Ed appunto Filippo
delle Teste veniva da tutti chiamato in paese. Con esse parlava,
discuteva, polemizzava, litigava. Erano creature della sua lucida follia
oppure personaggi della storia e della scienza che egli ammetteva al
suo cospetto, in quel mondo che si era costruito e nel quale aveva
scelto di chiudersi lontano dal consesso umano.
In che senso "s'incontrano"?
Si tratta di un incontro del
tutto virtuale, immaginario ed immaginato.
E le sensibilità dei due personaggi in quale aspetto soprattutto "s'incontrano"?
Si incontrano nel
senso che, pur essendo distanti fisicamente, oltre che, naturalmente,
sul piano della consistenza intellettuale, finiscono per essere molto
simili. Le migliaia di teste di Bentivegna, le migliaia di personaggi
che egli immortala nella pietra, somigliano molto alle centinaia di
eteronimi ai quali Pessoa diede vita. Per non parlare del rapporto con
gli altri, con il mondo esterno, con l’altro sesso, con la religione,
con i misteri della vita. E la fiducia, la certezza, che l’arte li
avrebbe fatto vivere in eterno.
Le è stato facile scrivere il romanzo? ci sono delle parti che più di altre ha rivisto più volte?
Non in modo particolare.
Naturalmente è stato più facile per Bentivegna che ho conosciuto
personalmente e con il quale mi è capitato spesso di incontrarmi
durante la mia fanciullezza e nel periodo della mia prima giovinezza.
Per Pessoa è stato più difficile, più impegnativo,ma nello stesso tempo
più stimolante.
Quali sono i suoi gusti in termine di lettura?
Diciamo che leggo di tutto, anche se la mia preferenza va al romanzo ed al teatro.
Su quali libri si è formato?
I grandi classici della letteratura italiana e, per il Novecento, Pirandello e Verga.
Oggi la letteratura agrigentina a che punto è...?
Sinceramente non saprei. Mi piace, però, ricordare quello che ebbe a
rispondere Sciascia ad una domanda del genere. Pressappoco così. “E’
certamente un fatto positivo che tanti scrivano. Il guaio è, però, che
poi pubblicano.” Giovanni Zambito.
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