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domenica 30 gennaio 2011

video della Mostra SANTE MONACHESI di Fondazione Roma

30 gennaio 2011 -

E' visionabile un video che documenta la mostra SANTE MONACHESI (1910-1991) tenutasi presso Fondazione Roma Museo dal 21 settembre al 24 ottobre 2010.


A cura di Stefano Papetti in collaborazione con l'Archivio Sante Monachesi.Il video, realizzato da Rete Sole, è un'occasione di approfondimento, oltre a ripercorrere le sale dell'esposizione, contiene un'intervista fatta al curatore, il Prof. Stefano Papetti e a Luce Monachesi.

vedi il video


presso la Galleria del Cortile- Archivio Sante Monachesi

è stata prorogata fino al 1 marzo 2011 la mostra

Sante Monachesi

La pittura non è un piatto di spaghetti

dal lunedì al venerdì

dalle 15,30 alle 19,30

GALLERIA DEL CORTILE E ARCHIVIO SANTE MONACHESI
Via del Babuino, 51 - 00187 ROMA
Tel. 06 3234475 - Fax 06 36000480
Ufficio di Palermo: Mirtilla Rolandi Ricci-Tel.+39 331.7493758

L'intervista al Prof. Papetti su Fattitaliani

L'intervista a Luce Monachesi su Fattitaliani


mercoledì 26 gennaio 2011

"Il Cerchio e la Shoah", Mostra personale itinerante di Giorgio Sorel

26 gennaio 2011 -

Il forte simbolismo e la cruda immediatezza delle opere di Giorgio Sorel, artista di grande intensità umana ed espressiva, sono in mostra dal 26 gennaio al 31 gennaio 2011 alla Sala S. Rita di Roma. Il cerchio e la Shoah - iniziativa collegata al 27 gennaio "Giornata della Memoria" - è promossa dall'Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale in collaborazione con Zètema Progetto Cultura e si avvale del patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), della Fondazione di Piacenza e Vigevano e della Friends of the Johns Hopkins University.


La mostra è a cura di Marzio Dall'Acqua - presidente dell'Accademia Nazionale Belle Arti di Parma - e di Patrizia Sorel.

Le opere esposte raccontano l'immane tragedia della Shoah ed il Cerchio ne è il filo conduttore "quella forma chiusa che impedisce al pensiero di allontanarsene, che rende il ricordo compulsivo e il bisogno di testimoniare urgente, indilazionabile, oltre e al di là di ogni particolare, di ogni precisazione, di ogni minuzia, per raccogliere le tracce dei volti divenuti cenere, le loro urla, le loro sofferenze, per sempre". Il simbolo della ciclicità inteso come vincolo della storia comune e monito da non dimenticare.

Nel Cerchio e la Shoah si materializzano volti ed espressioni, frammenti di figure tramite colori - nero, rosso e bianco - che intensificano le emozioni testimoniando la tragedia di un intero popolo e denunciandone l'orrore. L'opera di Sorel è "arte del ricordo e della memoria per questo ancor più incisiva e drammatica, ancor più tesa che non la semplice figurazione, che non il realismo"; un'arte dello spaesamento, dell'alterità e dell'estraneità che solo il nostro occhio, emozionandosi, sa far vibrare con empatie, allusioni e assonanze.

Giorgio Sorel nasce a Bologna nel 1939 e attualmente risiede e lavora in provincia di Piacenza. Artista intenso e drammatico affronta da sempre con grande passione e sensibilità tematiche legate all'Uomo e all'Esistenza; tematiche toccanti fronteggiate con piglio espressivo ed espressionista sulla condizione dell'umana solitudine e sui grandi eventi che hanno segnato la storia.

SCHEDA TECNICA

Mostra

IL CERCHIO E LA SHOAH. Mostra personale itinerante di Giorgio Sorel

Dove/Luogo

Sala S. Rita, via Montanara 8 – Roma

Inaugurazione

Martedì 25 gennaio 2011, ore 17.00

Quando

Dal 26 al 31 gennaio 2011

Orario

Lun – ven 10 – 18 (Chiuso sabato e domenica)

Ingresso

Gratuito

Per informazioni

Tel. 060608, 0667105568 www.salasantarita.culturaroma.it

http://www.silartegallery.org/


Archeologia&arte contemporanea: Mimmo Paladino e il Guerriero di Capestrano

26 gennaio 2011 -

A Chieti due grandi eventi daranno inizio al nuovo anno sotto il segno di Mimmo Paladino, del Guerriero di Capestrano (la famosa opera del VI sec. a.C.) e di una nuova sede espositiva. A partire dal 26 gennaio 2011 saranno visitabili la nuova sala permanente del Guerriero di Capestrano realizzata da Mimmo Paladino nel Museo Nazionale Archeologico Nazionale di Villa Frigerj, diretto dalla Dott.ssa Maria Ruggeri e la mostra di sculture, incentrata sul "nuovo Guerriero", allestita presso il nuovo Centro espositivo della Fondazione Carichieti a Palazzo De Mayo. I due eventi sono il risultato di un fecondo e lungimirante dialogo fra pubblico e privato, fra la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Abruzzo diretta dal Dott. Andrea Pessina e la Fondazione Carichieti presieduta dall'Arch. Mario Di Nisio.


"Nella mia nuova opera c'è una netta impostazione geometrica che si concretizza chiaramente nel copricapo. Nel complesso la scultura è quasi una struttura architettonica, una casa, richiamata dall'uso ripetuto delle tegole e dal cappello che diventa anche una sorta di tetto. La tegola in alto, che si incrocia con la mano, traccia una diagonale che dal corpo arriva idealmente fino al copricapo. In definitiva il mio Guerriero è disarmato". Mimmo Paladino. Il Guerriero di Capestrano, emblema per eccellenza della plastica arcaica italica e simbolo dell'Abruzzo, sarà sospeso in una dimensione senza tempo, nell'osmotica continuità fra passato e presente. Per la prima volta in Italia, un artista contemporaneo dà vita alla nuova sala permanente destinata ad ospitare un capolavoro archeologico di assoluta rilevanza.

Mimmo Paladino, la cui produzione è innervata dal richiamo estetico e formale delle antiche civiltà, si è ispirato in modi originali al Guerriero di Capestrano anche per la sua nuova sorprendente opera "Guerriero" (terracotta, h. m. 2,56), che sarà esposta in anteprima assoluta a Palazzo De Mayo, il polo culturale della Fondazione della Fondazione Carichieti, nella mostra "Mimmo Paladino e il nuovo Guerriero. La scultura come cosmogonia", curata da Gabriele Simongini.

Dunque, un doppio appuntamento in quello che si può già definire un percorso eccezionale da "museo diffuso" nella città di Chieti, dal Museo Archeologico-Villa Frigerj, diretto da Maria Ruggeri, al nuovo Palazzo De Mayo, nel segno dell'arte contemporanea con Mimmo Paladino e delle origini della civiltà italica con il Guerriero di Capestrano nella sua nuova "casa".

La mostra a Palazzo De Mayo e la nuova sala del Guerriero al Museo Archeologico saranno inaugurate il 26 gennaio 2011. L'esposizione di sculture a Palazzo De Mayo resterà aperta al pubblico fino al 30 aprile 2011.

I due eventi saranno documentati da due cataloghi distinti, editi da Allemandi: l'uno dedicato alla mostra delle opere di Paladino (curato da Gabriele Simongini), l'altro alla nuova sala del Guerriero (a cura di Andrea Pessina e dello stesso Simongini). Ai saggi di Simongini si affiancheranno quelli di Maria Ruggeri (per la sala del Guerriero) e di Enzo Di Martino (per entrambe le iniziative).

L'intervento di Paladino al Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo

Come scrive Simongini nel suo ampio saggio in catalogo, "Mimmo Paladino ha scelto di entrare con rispetto, misura e circospezione nel Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo-Villa Frigerj di Chieti sulla scia dell'aura che circonda il Guerriero per dargli una nuova casa, una sala sospesa in una dimensione senza tempo.

L'obiettivo che si pone il nostro artista è chiaro ed ambizioso e lo dichiara lui stesso: 'Ho voluto quasi depurare il Guerriero dal significato che lo determina storicamente e che lo data. Chi lo guarda ne deve trarre suggestioni che vanno al di là della sua collocazione cronologica. Secondo me l'opera d'arte deve educare il gusto al guardare. In tal senso condivido quel che diceva Berenson: bisogna agevolare la formazione del gusto, che si sviluppa naturalmente, come i muscoli e il cervello, attraverso l'esercizio e l'esperienza'. E così ho tentato di aggiungere un altro valore al valore stesso dell'opera, per darle modo di esprimere tutte le sue qualità. Un po' come se avessi fatto un pezzo di teatro'.

L'evento pionieristico e coraggioso che ha portato alla realizzazione della nuova sala permanente del Guerriero, oltre all'antisala grigia che fa da viatico, non è un puro e semplice allestimento ma è la creazione di uno spazio architettonico che in sé accoglie, oltre al massimo capolavoro della scultura arcaica italica, un intervento creativo discreto, misurato e minimale che va scoperto lentamente: gli aerei e leggerissimi graffiti di Paladino che quasi sfiorano le pareti come segni poetici e quindi lontanissimi da qualsiasi dimensione didascalica e storicistica. L'artista campano trasforma la sala del Guerriero in un'esperienza proposta al visitatore sotto il segno della contemplazione estetica, silenziosa e concentrata.

Al centro di quest'opera totale, fatta di spazi architettonici, graffiti e illuminazione ad hoc e che forse in futuro potrebbe perfino accogliere la musica, sta sempre e comunque il Guerriero di Capestrano la cui assoluta ed emblematica potenza geometrica è stata ribadita da Paladino con una mirabile intuizione spaziale: applicando la proporzione aurea, il cerchio del copricapo con il suo modulo di 65 cm genera un' ellissoide (il cui asse principale è 13 volte il modulo mentre l'altro equivale a circa sette volte e mezzo) che dà forma curva alla sala, spazio fluido, continuo, sospeso, senza angoli. Lo spazio fluido della sala è generato dal mirabile copricapo ma al tempo stesso avvolge il Guerriero con una calda accoglienza esaltata pure dall'accordo cromatico fra la scultura e il colore delle pareti: macinando la stessa pietra calcarea locale con cui è stato scolpito il Guerriero si è ottenuta una tinta perfettamente armonizzata con la statua e usata in diverse tonalità sia per il pavimento che per le pareti.

Per la sala del Guerriero Paladino ha pensato, magari solo da un punto di vista evocativo, alla cella, cioè alla parte interna del tempio greco o romano in cui si custodiva la statua della divinità e che diventava simbolicamente la casa del dio stesso. Ho cercato un gesto primario – ci dice Paladino mentre accarezza le pareti incise - e l'ho individuato nel graffito, il primo segno che l'uomo ha tracciato sulle pareti della caverna, un graffio nel muro con una pietra. Ho accennato ad un'ipotetica scrittura sconosciuta. A Chieti, emergono come apparizioni sagome di teste, frecce, animali, rami, utensili, una clessidra e molto altro, con un percorso segnico sostanzialmente minimale, tanto che qualsiasi mero elenco descrittivo pare inadeguato. Sono testimoni che in qualche modo osservano il Guerriero avvolgendolo e partecipando con discrezione al suo spazio sacrale". Per l'occasione la nuova sala del Guerriero firmata da Paladino è stata documentata ed interpretata dalle fotografie di Gianfranco Gorgoni pubblicate in un pregevole volume a dimensione "panoramica".

La mostra di Mimmo Paladino a Palazzo De Mayo


Il nuovo Guerriero realizzato da Paladino è il nucleo centrale della mostra di sculture che inaugura le sale espositive di Palazzo De Mayo della Fondazione Carichieti, nel contesto di due eventi culturali di respiro internazionale, fortemente radicati nel tessuto culturale e storico del territorio, l'Abruzzo.

L'opera inedita, appositamente creata dall'artista per la mostra "Mimmo Paladino e il nuovo Guerriero. La scultura come cosmogonia", è il Guerriero, scultura in terracotta di mt 2,56, omaggio visionario al Guerriero di Capestrano.

E così, nota Gabriele Simongini nel suo saggio in catalogo, "orizzontali, verticali e diagonali segnano quindi una presenza scultorea ed architettonica dal forte impatto visivo: un nuovo Guerriero severo, ascetico, totemico, chiuso nel suo riserbo geometrico ed enigmatico". Mentre Enzo Di Martino, che dedica un coinvolgente saggio al nuovo Guerriero, parlando di Aninis (il presunto autore del Guerriero di Capestrano) e di Paladino, scrive: "appare evidente anche a prima vista che tra i due artisti, pur separati da oltre duemila anni di storia, viene messa in atto una operazione di vero e proprio rispecchiamento, e non solo perché i due Re Guerrieri formalmente risultano somiglianti. Un'occhiata più attenta ed insistita rivela tuttavia che la figura di Paladino è in realtà molto diversa, è più alta e più semplificata, perfino più spigolosa, le decorazioni sono infatti quasi del tutto scomparse, la struttura della forma plastica è divenuta più segnata ed essenziale. L'intenzione non è più quella di rappresentare una figura magico-sacrale ma, partendo dal confronto, realizzare una scultura che viva nella contemporaneità".

Il percorso espositivo della mostra riunisce anche varie opere a tema bellico e nel suo complesso potrebbe rivelarsi quasi come un "corredo" del nuovo guerriero, così come accadeva nell'antichità. Un "corredo" reinventato, immaginario, sorprendente.

Si va dall'opera monumentale "Carro" ad una sala popolata da settantacinque piccole sculture in bronzo, dall'"Elmo" al "Cavallo", in una sorta di epico omaggio alla storia dell'uomo anche attraverso l'attività di conquista e difesa dei territori che da sempre ha caratterizzato, e caratterizza ancora, la primaria politica sociale delle civiltà. Fra le opere più significative spicca quella (Senza titolo, 2004, terracotta, impasto di colore su legno, ottone) realizzata a quattro mani con Ettore Spalletti, artista abruzzese di fama internazionale.

Inoltre la sala con le 75 sculture in bronzo, comprese fra il 1984 e il 2010, costituisce già di per sé una piccola antologica della ricerca plastica di Paladino. Al di là di ogni interpretazione troppo stringente, come scrive Simongini, "Paladino non offre mai chiavi di lettura certe, univoche, ma traccia sentieri aperti verso più direzioni interiori, verso la ricerca di un personale sentimento del mondo. Potremmo immaginarle radunate tutte insieme, le sculture di Paladino, in un grande rito collettivo e votivo dalle origini immemorabili e profondamente spirituali, ognuna concentrata in un gesto e nell'intuizione di una sacralità impenetrabile". La mostra di Mimmo Paladino inaugurerà le sale di PALAZZO DE MAYO, storico edificio della Città di Chieti di impianto sei-settecentesco ora sede del Museo (fortemente voluto dall'Arch. Di Nisio) e della Fondazione Carichieti.

La nuova sala del Guerriero di Capestrano, opera di Mimmo Paladino, si trova al Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo di Villa Frigerj ed è stata allestita grazie ad una stretta collaborazione tra lo staff della Soprintendenza (diretto da Andrea Pessina con la collaborazione di Maria Ruggeri e composto da Ada Cardellicchio, Stefano Trocchi e Maria Teresa Piccioli) e alcuni fra i più stretti collaboratori del Maestro. Il Museo raccoglie le più importanti raccolte di reperti archeologici esistenti in Abruzzo ed è situato a Chieti, al centro dei giardini comunali. È ospitato in un pregevole edificio in stile neoclassico, fatto erigere nel 1830 dal barone Ferrante Frigerj su progetto dell'architetto napoletano Enrico Riccio. Ceduto prima al comune di Chieti e successivamente allo Stato, nel 1959 è diventato sede del Museo archeologico per volere dell'allora soprintendente Valerio Cianfarani. L'edificio, a pianta centrale, presenta le quattro facciate esterne rivestite da mattoni lisci al piano terreno e arricchite di pregevoli finestre con timpani al piano nobile. L'interno è caratterizzato da una scalinata monumentale a forbice sostenuta da colonne doriche e da un'ampia galleria centrale utilizzata in origine per il passaggio delle carrozze.

La realizzazione della nuova sala del Guerriero si inserisce in una più ampia opera di riallestimento delle esposizioni archeologiche, condotta sotto la direzione di Maria Ruggeri. Il progetto del nuovo allestimento museale si sviluppa secondo un percorso organizzato per "popoli", evidenziando cioè la nascita di quei sistemi etnico-territoriali che in quest'area sono percepibili, grazie alla documentazione archeologica, già nelle fasi iniziali dell'età del Ferro. Oltre al Guerriero di Capestrano, uno dei principali esempi di scultura non classica di tutta l'Europa antica e certo il reperto archeologico più significativo di tutto l'Abruzzo, al Museo sono esposti reperti di straordinario interesse storico ed archeologico, quali gli oggetti provenienti dal Santuario di Ercole Curino a Sulmona, tra cui la statuetta bronzea di Eracle in riposo, ritenuta opera del grande Lisippo; il ciclo statuario da Foruli (Scoppito-Aq); la statua colossale di Ercole Epitrapezios dall'antica Alba Fucens; i letti funerari con decorazioni in osso dalle necropoli di Fossa; i corredi funerari delle numerose necropoli italiche di tutto l'Abruzzo; la Collezione Numismatica e la straordinaria Collezione Pansa.

Museo Archeologico Nazionale d'Abruzzo, Villa Frigerj, Chieti

dal 26 gennaio, Opera permanente

"Mimmo Paladino e il nuovo Guerriero. La scultura come cosmogonia"

Fondazione Carichieti, Palazzo De Mayo, Chieti

26 gennaio-30 aprile 2011

A cura di Gabriele Simongini


BORN INVISIBLE, mostra fotografica dell'italo-canadese Sheila McKinnon, Loggia degli Abati di Palazzo Ducale a Genova

26 gennaio 2011 -

Si inaugura il 3 febbraio alle ore 18, alla Loggia degli Abati di Palazzo Ducale a Genova la mostra BORN INVISIBLE della fotografa italo-canadese Sheila McKinnon, organizzata dalla Fondazione Edoardo Garrone in collaborazione con AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo, e ospitata dalla Fondazione per la cultura Palazzo Ducale.


Attraverso lo sguardo, la luce, i colori vibranti delle immagini di McKinnon, la mostra richiama l'attenzione sui milioni di ragazze adolescenti che nei paesi in via di sviluppo sono "invisibili" perché emarginate fin dalla nascita a causa di una cultura di discriminazioni che cominciano con la preferenza per il figlio maschio, la mancata iscrizione a scuola e proseguono con matrimoni forzati, gravidanze precoci, lavoro precario, violenza sessuale e domestica. Le "adolescenti ai margini", per citare solo alcune stime, sarebbero 1 milione e 150 mila in Sudafrica, 700 mila in Kenya, 600 mila in Etiopia.

"Le immagini di Sheila McKinnon sono ri-velazioni dell'invisibile.

L'artista fotografa per ri-velare ciò che non è visibile ad occhio nudo. McKinnon lo fa in più di un senso. Non solo perché fotografa le BORN INVISIBLE – giovani donne del Sud del mondo, normalmente escluse dallo sguardo e dall'Agenda economica e politica di chi traccia i destini del pianeta – e non soltanto perché indaga i tanti volti e la ricchezza sorprendente, la vita "fuori programma", di cui è capace il mondo femminile. La sua è una forma di ri-velazione perché entra con l'occhio fotografico nell'ombra e nel mistero, lì dove l'invisibilità conduce. Il suo sguardo va alla ricerca della grazia degli esseri, e li incontra al di là delle retoriche e delle angustie contingenti, al di là dei torti e dei delitti, comunque incancellabili: li vede nel loro esserci, li celebra in quanto dono di presenza che emerge e che si dà alla vita, alla gioia, malgrado gli stenti, le mancanze, la violenza, il dolore." Maria Giovanna Musso, Docente di Sociologia del mutamento e Sociologia dell'arte, Università "La Sapienza", Roma.

"Born invisible, nate invisibili, adolescenti ai margini, spose bambine, madri troppo giovani, ragazze stuprate, sieropositive, abbandonate, sole, dimenticate... Questa è semplicemente la normalità in tanti paesi, il modo in cui si costruiscono i ruoli di genere in società patriarcali che assegnano a uomini e donne compiti e funzioni diverse e che solo ora cominciano a riconoscere la profonda iniquità iscritta nella tradizionale costruzione dell'identità di genere." Daniela Colombo, Presidente di AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo.

Sheila McKinnon

Sheila McKinnon è nata in Canada e vive da molti anni in Italia. Ha lavorato come fotografa e giornalista in Africa, Asia, Europa e in Medio Oriente per varie testate europee e nord americane: The New York Times, Newsweek, The International Herald Tribune, The Los Angeles Times, Die Welt, Beaux Arts Magazine, Saveur Magazine, The Toronto Globe and Mail, Elle Spain, Elle Hungary oltre che per il Corriere della Sera, La Repubblica, Panorama, Espresso tra le altre. Ha collaborato con varie organizzazioni umanitarie, viaggiando in diversi paesi per l'UNICEF, AIDOS, la FAO, La Comunità di Sant'Egidio e Africare.

Ha pubblicato diversi libri fotografici: INVISIBLE WOMEN sponsorizzato dal Comune di Roma, The Sacred Fire, edito da Logart Press sui matrimoni indiani, On Their Side/Dalla Parte dei Bambini, per UNICEF dedicato alla Convenzione sui diritti dell'infanzia e The Islands of Italy pubblicato da Houghton Mifflin, USA.

Tra le sue mostre personali vanno ricordate "Eyes" al Centro Culturale Canadese a Roma, la mostra itinerante "On Their Side"/Dalla Parte dei Bambini" con UNICEF, presentata in tutte le principale città d'Italia; "INVISIBLE WOMEN" in collaborazione con the Shenker Institute e AIDOS e allestita a Roma, Bologna, Sassuolo e Milano.

"INVISIBLE WOMEN and the ENVIRONMENT", realizzata in collaborazione con AIDOS, è stata presentata dal Ministero del Ambiente in occasione degli incontri del G8 a Siracusa in 2009.

Il suo sito: www.sheilamckinnon.com

martedì 25 gennaio 2011

Catania, "Sant'Aituzza", viaggio fotografico in bianco e nero di Antonio Parrinello a Palazzo Platamone

25 gennaio 2011 -

Bianco e nero. Come i palazzi del centro storico di Catania, come la porta Garibaldi che a ovest della città sigla ogni giorno l'arancio dei tramonti etnei, come l'abito dei devoti di Sant'Agata, la patrona della città ai piedi dell'Etna celebrata ogni anno in febbraio da una grande festa popolare, un rito collettivo e trasversale per centinaia di migliaia di persone.


Bianco e nero, su pellicola, è il linguaggio scelto dal fotoreporter Antonio Parrinello per la mostra, organizzata in collaborazione con l'Assessorato Comunale alla Cultura e ai Grandi Eventi, e ospitata nel Palazzo Platamone di Catania dal 31 gennaio al 20 febbraio 2011. S'intitola "Sant'Aituzza", come il tenero e familiare appellativo con cui i fedeli si rivolgono alla Patrona, la fanciulla cristiana di nobile famiglia che nel 251 d.C., per sfuggire alle insidie del governatore Quinziano, fu arrestata e torturata: le venne strappato il seno prima di morire in carcere. In mostra trentacinque istantanee di medio formato (50x70) stampate su carta per un effetto molto più naturale. Lunedì 31 gennaio, ore 18, l'inaugurazione alla presenza del sindaco di Catania, Raffaele Stancanelli, dell'assessore comunale alla cultura, Marella Ferrera, e del commendatore Luigi Maina, cultore delle tradizioni agatine.

"Racconto la festa, i devoti, la gente comune – spiega Parrinello, fotoreporter e fotografo di scena per numerosi film – i ragazzini della Civita che con cassette da frutta costruiscono per strada le loro mini-candelore e già a dieci anni imitano i grandi. Li racconto con scatti realizzati con grandangolari che consentono di tener sempre dentro l'immagine la scenografia: i monumenti di Catania. Immagini raccolte nell'ultimo decennio e impresse su pellicola in bianco e nero: ho rinunciato volutamente alla plasticità e alla perfezione del digitale che appiattisce l'immagine per avvicinarmi quanto più possibile al reale".

La mostra è supportata da un piccolo catalogo (Sintesi Editore) con la prefazione di Marella Ferrera e di Salvo Russo, artista e docente di pittura dell'Accademia di Belle Arti e dell'Università di Catania, e con il contributo del commendatore Maina. Sostengono l'iniziativa l'Autorità Portuale di Catania, il periodico Aliante, Strano Light Division, Pianeta Vacanze e Caltabiano & C.

"Sant'Aituzza" è visitabile a Palazzo Platamone tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 15.30 alle 19.30, le domeniche dalle 9 alle 13. Nei giorni 3, 4 e 5 febbraio – in occasione della festa della patrona – gli orari saranno 9-24. L'ingresso è gratuito.

la scrittrice albanese Anilda Ibrahimi: "l'italiano mi ha salvato dalla retorica della mia lingua madre". l'intervista di fattitaliani


Venerdì 21 e sabato 22 gennaio a Roma presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università "La Sapienza" e la Casa Internazionale delle Donne si è svolto il congresso nazionale ADI-sd (Associazione degli Italianisti - Sezione Didattica) intitolato "Per correr miglior acque... A scuola di letteratura" e curato da Natascia Tonelli, Michela Costantino, Simona Di Bucci, Carla Sclarandis e Francesca Vennarucci. All'ultima sessione sono intervenute anche quattro scrittrici: la siciliana Silvana Grasso, la poetessa Sara Ventroni, la sarda Michela Murgia e l'albanese Anilda Ibrahimi con il suo bambino: "E' nato da due mesi: è il terzo figlio", ci dice.

RETTORE: «IO, CANE SCIOLTO: CHIAMATEMI DADA». L'INTERVISTA

Cantante e compositrice tra le più originali del nostro panorama musicale, (Donatella) Rettore si è sempre distinta cambiando pelle e generi nel corso della sua lunga e colorata carriera, scrivendo e interpretando brani tuttora negli iPod delle nuove generazioni che l'hanno conosciuta grazie ai propri genitori o tramite il passaparola di internet. Dopo la partecipazione ad "Amiche per l'Abruzzo" e al recentissimo "O scià" di Claudio Baglioni a Lampedusa, a che punto è oggi Rettore? «Mi puoi chiamare Dada», dichiara subito con la sua immediata simpatia e disponibilità a Giovanni Zambito che l'ha intervistata per il n. 15 del settimanale Di Tutto: riportiamo l'articolo per intero.

SANREMO 2011, ROBERTO VECCHIONI CON "CHIAMAMI ANCORA AMORE". L'INTERVISTA DI FATTITALIANI: "LA CANZONE D'AUTORE PUò ESSERE ANCHE POPOLARE"

Il Festival della canzone italiana ha avviato da un po' i motori della 61.ma edizione: tanti i nomi di artisti che vi ritornano per l'ennesima volta e quest'anno a Sanremo 2011 anche la canzone d'autore avrà un suo spazio, un suo esimio rappresentante. Stiamo parlando del professore Roberto Vecchioni, che per la seconda volta (la prima risale al 1973 con L'Uomo Che Si Gioca Il Cielo A Dadi) torna a calcare il teatro Ariston con il brano "Chiamami ancora amore" che farà da traino all'omonimo nuovo disco che uscirà a ridosso della manifestazione musicale. Fattitaliani lo ha intervistato e subito ci dice che si sente pronto ad affrontare l'esperienza della gara: "Non patisco questo pensiero di Sanremo, non è vero che ti fa venire il cagotto" ammette.

Erri De Luca a Fattitaliani: "LA SCRITTURA È STATA PER ME RICOVERO E SALVEZZA"

Da domani, 25 gennaio, fino al 13 febbraio al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma sarà rappresentato "Morso di luna nuova" scritto da Erri De Luca e diretto da Giancarlo Sepe: un affresco sulla Napoli del 1943. La città si trova in mezzo a due eserciti: uno dentro e uno fuori. Con le "Quattro giornate di Napoli" (27 -30 settembre '43) la popolazione partenopea insorge e, grazie al coraggio e all'eroismo dei suoi abitanti, riesce a liberarsi dall'occupazione delle forze armate tedesche, spianando la via maestra alle truppe alleate.Fattitaliani ha intervistato l'autore Erri De Luca.

lunedì 24 gennaio 2011

La poetessa Sara Ventroni a Fattitaliani: "LA POESIA PURTROPPO OGGI è ESCLUSA DAL MERCATO E DAI GIORNALI"

La poetessa Sara Ventroni, ospite a Roma al Convegno nazionale dell'Adi-Sd, ha pubblicato su numerose riviste e giornali («Nuovi Argomenti», «l'immaginazione», «Accattone», eccetera); collabora a «Liberazione» e al «Foglio» e come performer ha partecipato ai maggiori festival nazionali e internazionali di letteratura,vincendo il primo poetry slam italiano. Suoi testi sono stati tradotti in spagnolo da Isabel Miguel, in inglese da Alistair Elliot, in francese da Dominique Garand e in croato da Snjez ana Husic. Per RAI Radio Tre ha raccontato le vite di Jim Morrison e David Bowie (Storyville). Per No Reply ha pubblicato nel 2005 l'opera teatrale Salomè. Nello stesso anno il poemetto Nel Gasometro pubblicato dalla Casa editrice Le Lettere (pagg. 136, € 18,00) è stato finalista al premio Antonio Delfini ed è parzialmente uscito su «Poesia».Fattitaliani l'ha intervistata.

domenica 23 gennaio 2011

ALDO MONDINO. Maestro di Fantasmagorie FINO AL 20 FEBBRAIO AL Museo Arte Contemporanea Acri

23 gennaio 2011 -

Fino al 20 febbraio 2011, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) dedicherà una personale al grande artista torinese Aldo Mondino, senza dubbio uno degli artisti italiani più eclettici della sua generazione, tra i principali protagonisti della sorprendente stagione creativa degli anni Sessanta del capoluogo piemontese. Poliedrico, dotato di una vasta e profonda cultura internazionale, di uno sguardo ironico capace di partorire doppi sensi eleganti e raffinati, e, soprattutto, di una curiosità instancabile, Mondino non ha mai cessato di reinventare se stesso e la propria arte durante tutto l'arco della sua carriera.


Il suo percorso artistico è stato segnato da un fluire costante di ispirazioni sempre nuove, di influenze disparate che l'artista è stato in grado di assorbire, metabolizzare e successivamente riproporre attraverso il suo stile originale ed inconfondibile; dai primi passi parigini mossi presso l'Atelier 17 del pittore surrealista ed espressionista William Heyter, e gli studi sul mosaico fatti sotto la guida del futurista Gino Severini, per poi passare attraverso una fase citazionista dai forti richiami pop, e il successivo periodo orientalista nato negli anni Settanta con la serie King e proseguito con quella dei Dervisci e con le sperimentazioni formali estrose ed audaci. Proprio questo suo essenziale gusto per lo studio manipolatorio di materiali e medium artistici innovativi, ma mai distaccati dalla realtà quotidiana – sua fonte di ispirazione primaria sin dai tempi delle frequentazioni dell'artista con il gruppo dei poveristi –, lo ha portato a realizzare le famose sculture in cioccolato e zucchero di canna, o le opere fatte con confezioni di torrone, selle da cavallo o aringhe affumicate.

A cinque anni dalla sua morte, il MACA – grazie alla collaborazione con la Fonderia di Walter Vaghi e con il patrocinio dell'Archivio Mondino – ospita nei suoi spazi una collezione di venti opere di grandi dimensioni, tra sculture e dipinti, in grado di veicolare alla perfezione il carattere poliedrico, arguto ed esotico del grande artista torinese.

Riecheggiando un verso di Arthur Rimbaud, anche Mondino potrebbe essere definito un "maestro di fantasmagorie", un artista che attraverso le sue opere affascinanti, ironiche e seducenti, sembra rivolgersi al suo pubblico come faceva il poeta francese in Una Stagione all'Inferno: "Ascoltate!... Ho tutti i talenti!"

Mostra: ALDO MONDINO. Maestro di Fantasmagorie

Curatore: Boris Brollo

Luogo: MACA (Museo Arte Contemporanea Acri)

Palazzo Sanseverino – Piazza Falcone, 1, 87041, Acri (Cs)

Vernissage: 20 novembre 2010 ore 18:00

Periodo: dal 20 novembre 2010 al 20 febbraio 2011

Orari: tutti i giorni tranne il lunedì; h:9-13 15-19

Info: museo tel. 0984953309; ufficio stampa tel. 0119422568; maca@museovigliaturo.it; www.museovigliaturo.it


Pescara, la mostra "Toyo mon Amour": 20 artisti per un calice rotto

23 gennaio 2011 -

Una mostra? Una provocazione? "Toyo mon Amour" è una mini mostra-provocazione curata dal graphic designer Luca Di Francescantonio e sviluppata da 20 artisti provenienti da tutto l'Abruzzo. Nel pomeriggio di ieri era visitabile gratuitamente in un luogo di arredamento e design, Patriarca Store, in via Nicola Fabrizi 67/69 a Pescara, a partire dalle 19.


«Il rapporto tra Pescara e l'architetto Toyo Ito, progettatore della scultura in piazza Salotto "Huge Wine Glass", che dopo poco più di 60 giorni ha ceduto agli sbalzi di temperatura – spiega l'ideatore Luca Di Francescantonioè un rapporto particolare, a volte difficile, a volte apprezzato. Un rapporto che ci ha portato a ispirarci e proporre quella che, partendo da un esempio di rapporto locale, intende abbracciare una tematica più vasta a livello culturale: che rapporto può esistere tra l'arte contemporanea e l'Abruzzo? Quanto può essere valorizzata o apprezzata? Quanto può essere definita nei giusti spazi? E, in vista dei futuri cambiamenti della piazza: quanto Pescara e l'Abruzzo hanno un respiro "contemporaneo"?».

Esponenti dell'arte, della critica e della politica si sono pronunciati sulla delicata questione della ricettività abruzzese nel campo dell'arte contemporanea in una tavola rotonda moderata dal direttore del Museo di arti contemporanee di Nocciano Ivan D'Alberto.

Al dibattito, dal titolo "L'Arte in Abruzzo: è e sarà Contemporanea?", sono intervenuti Eugenio Cancelli (architetto, designer e docente di Storia dei Costumi e della Moda presso il Master universitario in Economia e Gestione della moda a Penne), Enzo De Leonibus (artista e direttore del Museo Laboratorio di Città Sant'Angelo), Antonio Zimarino (storico dell'arte), Veniero De Giorgi (artista) e Mauro Bianchini (gallerista). La serata si concluderà con una degustazione di vini Cantina Sangro.

A "Toyo mon Amour" hanno partecipato: Erica Abelardo, Ettore Altieri, Nicola Antonelli, Marco Appicciafuoco, Arkilabo, Marco Cardone (artemad), Pedro H. Cavuti, Colleen Corradi Brannigan, deZignStudio, Davide Di Ilio,Vittoria D'Incecco, Claudio Gaspari, Ray K, Eva Laudace, Danilo Maccarone (artemad), Michele Montanaro, Adele Pratt, Pamela Testa, Serena Vizioli, Zo_Loft

Tutte le opere saranno visibili online, a partire da oggi, domenica 23 gennaio, sul portale creativo www.enviconcept.com.

sabato 22 gennaio 2011

Ad Agrigento l'inaugurazione di "Guccione. Il Mediterraneo", IL FOTO-RACCONTO DI FATTITALIANI

22 gennaio 2011 -

GUARDA LA FOTOGALLERY DI GIUSEPPE GUARNERI. Fattitaliani.it era presente per Voi all'inaugurazione della Mostra 'Guccione. Il mediterraneo', che si è svolta ieri 21 Gennaio presso le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento. L'antologica su Guccione proveniente da Palazzo Ducale di Genova sarà visibile sino al 13 marzo con ingresso gratuito nel sorprendnte spazio espositivo delle FAM.


Sono intervenuti all'inaugurazione Marco Goldin, il quale ha curato l'esposizione, Antonino Pusateri Presidente dell'Associazione Amici della pittura siciliana dell'Ottocento e naturalmente Piero Guccione il maestro di Sciscli autore dei dipinti, ma erano anche presenti le massime autorita' istituzionale, artisti e appassionati d'arte.

Un vernissage pomeridiano che ha permesso di ammirare ai primi visitatori una trentina dei piùpoetici capolavori che l'artista abbia dedicato al mare dal 1973 al 2010.

Goldin spiega: "Il Mediterraneo è un grande appuntamento per la Sicilia di Guccione: la mostra alle Fabbriche Chiaramontane ripercorre un lungo periodo di uno dei più importanti esponenti della figurazione contemporanea offrendo l'opportunità di ammirarne l'opera nella sua interezza". Aggiunge: "Un'instancabile ricerca pittorica ... iniziata quando è tornato da Roma a vivere in Sicilia. Qui, immerso nel paesaggio dell'isola, ha raccontato i luoghi ritrovati dell'infanzia, avviando un dialogo tra sguardo e ricordo che avrebbe originato una lunga e ininterrotta indagine pittorica fatta di variazioni, soste, approfondimenti. Ed è proprio dagli anni ottanta – anni dai quali prende le mosse questa mostra – che la ricerca di Guccione si viene caratterizzando sempre più per la sensibile rarefazione dell'immagine, in una progressiva tensione simbolica: quasi che il mare si facesse sempre più luogo capace di fondere in sé l'apparenza visibile delle cose con la loro infinita risonanza interiore".

"Guccione. Il Mediterraneo" è prodotta dall'Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana guidato da Sebastiano Missineo e dagli Amici della Pittura Siciliana dell'Ottocento in collaborazione con Antonio Sarnari. Il progetto è patrocinato dalla Presidenza del Senato della Repubblica Italiana, dalla Provincia Regionale e dal Comune di Agrigento. Media partner in Sicilia Key 75.

"Guccione |Il Mediterraneo"

22 gennaio > 13 marzo 2011

Agrigento, FAM – Fabbriche Chiaramontane

Piazza San Francesco 1 – Tel. 0922 277.29

Da martedì a domenica 10-13, 16-20

Lunedì chiusi

www.ottocentosiciliano.it

venerdì 21 gennaio 2011

"FUMO" mostra di Pino Boresta, Cesare Pietroiusti, Paolo Residori a cura di Claudia Colasanti

21 gennaio 2011 -

FUMO è una mostra a tre - un confronto fra autori di area concettuale - che si configura come un dialogo su un tema scomodo, a prima vista non centrale e non del tutto 'estetico' e piacevole. Il fumo, anche e soprattutto quello emesso dal tabacco contenuto nelle sigarette, è per taluni un vizio, un'abitudine, ma può diventare una compulsione, un tic, una gestualità perversa, una vera e propria malattia.


Per Paolo Residori, cui si deve l'intuizione della mostra, la sigaretta (e il suo residuo, il mozzicone) rappresenta un assillo quotidiano, diventato con il tempo un tappeto visivo deformato. La sua ossessione si è mutata nella consapevolezza di voler identificare un colpevole definitivo nel corpo di quel frammento maleodorante. La 'cicca' diventa, nella grande installazione realizzata appositamente per gli spazi della galleria e negli scatti fotografici (composti e organizzati grazie ad una paziente raccolta di scarti inquinanti), la testimonianza di un delitto, l'emblema del male, della dipendenza, di gran parte dell'inquinamento globale del pianeta.

Sigarette consumate e mozziconi sono al centro anche del prelievo di Pino Boresta, che anni fa realizzò il R.A.U. (Ritrovamenti Arteologici Urbani), intervento che consisteva nel recupero di reperti fra i microrifiuti urbani delle strade di Roma. Boresta, che è un non-fumatore, in mostra attenderà che i visitatori fumatori gli consegnino il loro ultimo mozzicone e fornirà loro un certificato autografato, con la scritta "..SOLO PER FUMATORI... QUESTA NON è LA MIA ULTIMA SIGARETTA".

Un approccio distante dai precedenti, che riesce a tradurre una sostanza residua come il fumo di candela in un'astrazione poetica, è quello di Cesare Pietroiusti. Si tratta di una serie di disegni su carta (una parte di cento esemplari numerati e firmati) densi di toni fra il grigio e il marrone scuro, i cui proventi verranno interamente devoluti all'Associazione Alzheimer di Roma.

Pino Boresta è nato nel 1962 a Roma, dove vive e lavora. Il suo lavoro è incessante e capillare, urbanamente onnipresente: il suo viso deformato da smorfie è impresso su muri, cartelloni pubblicitari, insegne stradali, pali della luce, semafori. Il ritratto di Pino Boresta è ovunque nelle città, per ricordarci l'esistenza di sé e della sua irrequietezza artistica ed esistenziale: ci invita a reagire, a rispondere, ad insultare, se necessario. Boresta agisce da provocatore e da raccoglitore: è un catalogatore umano di oggetti, scarti, tracce, idee e persino residui umani e spazzatura. Un lavoro costante che si sviluppa proprio in direzione dell'ossessione: verso l'identità, il lavoro e i gesti quotidiani.

La ricerca artistica di Cesare Pietroiusti (Roma, 1955) esprime interesse per le situazioni paradossali o problematiche nascoste nelle pieghe della ordinarietà dell'esistenza - pensieri che vengono in mente senza un motivo apparente, piccole preoccupazioni, quasi-ossessioni considerate troppo insignificanti per diventare motivo di analisi, o di auto-rappresentazione.
Tutto ciò lo ha portato ad esplorare scelte e intenzioni formulate da altri, nonché a cercare di fare proprie tali scelte altrui. Negli ultimi anni il suo lavoro si è concentrato soprattutto sul tema dello scambio e sui paradossi che possono crearsi nelle pieghe dei sistemi e degli ordinamenti economici. A partire dal 2004 ha distribuito gratuitamente decine di migliaia di disegni individualmente prodotti e firmati; venduto storie; ingerito banconote al termine di un'asta per poi restituirle al legittimo proprietario dopo l'evacuazione; organizzato ristoranti in cui al termine del pasto, invece di pagare, si ricevono i soldi del prezzo del cibo scritto sul menu, allestito mostre in cui le opere sono in vendita non in cambio di denaro, ma delle idee o delle proposte dei visitatori.

Paolo Residori è nato a Roma nel 1953, città dove vive e lavora. La sua visione geometrica del mondo deriva dalla grafica editoriale, che lo impegna sul versante lavorativo. Dopo il 2000 la sua pittura si sposta dalla struttura del ritmo scandito a nuove modalità espressive. Una produzione da cui emerge anche una tendenza meditativa, sempre più collegata a soggetti sociali: le grandi forme astratte sono rappresentazioni di un reale contraddittorio e sfaccettato. Un atteggiamento quasi spregiudicato nell'ignorare mode e tendenze, che gli ha permesso di guardare con interesse in tante direzioni per poi imboccare esclusivamente la strada dell'istinto. Lo stesso motivo che lo spinge, in questo periodo, a misurarsi con nuove forme installative: come nella pittura non ha mai smesso di rinnovarsi, ora l'urgenza di esprimere un'emergenza sociale non più trascurabile crea un sorprendente incontro con la tridimensionalità. Nata da uno stato di irrequietezza mentale nei confronti del crescente degrado ambientale, Residori ora crea metafore visive di grande impatto, che si esplicitano in un'incisiva critica ideologica nei confronti del consumismo. Una scelta rilevante, che lo induce a presentare materiali tra i più imprevedibili, e che sancisce il delicato passaggio che intercorre tra l'idea e la sua realizzazione.

R.A.U. (Ritrovamenti ARTEologici Urbani)

Ho realizzato il mio primo R.A.U. (Ritrovamenti ARTEologici Urbani) il 5 e il 10 luglio 1995, partendo dalla fontana della Barcaccia in piazza di Spagna (alle ore 18,30) e in tutta la zona del tridente nelle vie sotto elencate. Un intervento che consisteva nel recupero di reperti fra i microrifiuti urbani delle strade di Roma. Gli oggetti trovati sono stati in un primo tempo riuniti in vari sacchetti a seconda del luogo di ritrovamento (piazza o via) e in seguito assemblati e incollati su vari cartoncini (anch'essi di recupero) sempre divisi secondo il luogo del ritrovamento. Fra essi sono state rinvenute numerose cicche di sigaretta.

Le vie e le piazze interessate sono state le seguenti:

piazza di Spagna via delle Carrozze

via del Babuino via della Croce

via Margutta piazza del Popolo

via del Corso via Vittoria

piazza Augusto Imperatore via dei Greci

via di Ripetta via di S. Giacomo

via Condotti via Gesù e Maria

via Borgognona via Laurina

via Frattina via della Fontanella

via della Vite via della Mercede

FUMO

Pino Boresta Cesare Pietroiusti Paolo Residori

a cura di Claudia Colasanti

inaugurazione: venerdì 11 febbraio dalle ore 18.30

11 febbraio - 5 marzo 2011 (dal martedì al sabato ore 17 - 20)

Centro Luigi Di Sarro

Via Paolo Emilio 28, 00192 Roma

Tel. +39 06 3243513

www.centroluigidisarro.it

info@centroluigidisarro.it


giovedì 20 gennaio 2011

L'ITALIA S'È DESTA: 1945-1953. Arte italiana del secondo dopoguerra, da De Chirico a Guttuso, da Fontana a Burri

20 gennaio 2011 -

Arte italiana tra il '45 e il '53, ovvero gli otto anni in cui davvero l'Italia s'è desta, il tempo più vivace, magmatico, contrastato di tutto il nostro Novecento. Il progetto di mostra curato da Claudio Spadoni, promosso dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna e dal Museo d'Arte della città, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, in programma nelle sale del Mar dal 13 febbraio al 26 giugno 2011, ha l'ambizione di ricostruire tutte le diverse fasi delle vicende artistiche dalla fine del secondo conflitto mondiale alla grande mostradi Picasso in Italia del 1953, a Roma e poi a Milano, che, per molti aspetti, segna uno spartiacque fra il dopoguerra del rinnovamento, dei dibattiti culturali, delle costituzione di gruppi e movimenti, e la seconda parte degli anni Cinquanta.


Per la prima volta verrà offerto un quadro complessivo di quelle stagioni cruciali della storia artistica italiana. Un fermo immagine che registra non solo il nuovo che ribolle, ma anche la vitalità di ciò che il montare di quest'ansia di modernità europea andava relegando ad una ingiustificata considerazione marginale, ovvero le opere ultime, eppure spesso sorprendentemente felici, dei grandi protagonisti della prima metà del secolo: da Morandi a De Pisis, da Balla a Carrà, da Casorati a De Chirico, da Martini a Marini e Manzù. Maestri, non ancora scomparsi, dei quali viene documentato il lavoro di quegli anni, fra storia e attualità.

Ma L'Italia s'è desta: 1945-1953. Arte italiana nel secondo dopoguerra è in primo luogo il racconto del voltar pagina, un mutar paradigma di una generazione alla ricerca, affannosa e creativa, di nuove possibilità espressive.
Milano, Torino, luoghi di resistenza degli ultimi anni della guerra, furono insieme a Roma e Venezia le principali città nelle quali la vita artistica italiana riprese impulso.

Erano gli anni in cui gli artisti italiani più impegnati identificavano in Pablo Picasso l'imprescindibile alternativa europea alla chiusura provincialista. Le sue opere rappresentavano un modello fondamentale della modernità, per linguaggio e contenuti ideologici. L'infatuazione Neocubista, secondo il modello di Guernica, trova riscontro in gran parte degli artisti, con figure di primissimo piano come Guttuso, Leoncillo, Morlotti, Pizzinato, mentre il bisogno di un legame tra arte e oggettività si esprime nelle diverse forme di Realismo di un Peverelli, di un Testori, di un Sassu, di uno Zigaina.

Quasi contemporaneamente l'esigenza di coalizzarsi in gruppi veniva espressa dal Fronte Nuovo delle Arti che accomunava presenze eterogenee (Birolli, Guttuso, Leoncillo, Morlotti, Pizzinato oltre a Levi, Santomaso, Vedova, Viani) ed ebbe la consacrazione alla Biennale del '48, pur nella difficile convivenza di figure e istanze incompatibili.
In ambito romano nel '47 nasceva Forma 1, ovvero il gruppo astratto votato a Balla, a Kandinskij, a Matisse, con artisti come Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato. Il frenetico bisogno di cambiamento che caratterizzava le vicende della ricerca non figurativa, trovava riscontro ancora a Roma intorno alla Fondazione Origine (1949) con Ballocco Burri, Capogrossi, e a Firenze con il Gruppo dell'Astrattismo Classico (1950) capeggiato da Berti e Nativi.
Intanto Fontana, rientrato a Milano dall'Argentina, nel 1947 diede vita allo Spazialismo insieme a Crippa e Dova; pochi anni dopo, nel '51, sempre nel contesto milanese ricco di fermenti, nasceva il MAC Movimento Arte Concreta, composto fra gli altri da Dorfles, Munari, Radice, Reggiani, Sottsass.
Ne '52 Baj, Colombo, Dangelo sottoscrivevano il Manifesto della pittura Nucleare, nello stesso anno Lionello Venturi presentava il Gruppo degli Otto, (con Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Vedova) con la formula dell'Astratto Concreto.

Dopo diverse rassegne che hanno preso in considerazione solo singolarmente ogni movimento o gruppo, senza possibilità di confronti contestuali diretti, la mostra del Mar, attraverso le 160 opere fondamentali degli artisti del tempo, ripercorre tutte le complesse vicende del periodo.
Un particolare risalto viene dedicato anche a coloro che portarono avanti ricerche personalissime come Alberto Burri, Carol Rama, Luigi Spazzapan, Antonio Zoran Music, Tancredi, e alcuni giovani bolognesi come Romiti, Bendini, Vacchi figure sostanzialmente isolate rispetto ai gruppi ufficiali.
Pur concentrata sull'arte, la rivisitazione degli otto anni che traghettarono l'Italia alla contemporaneità trovano in mostra, esempi di intersezioni con le altre arti, dal cinema del Neorealismo, all'architettura. In un proteiforme mosaico che nella diversità e dissonanza delle sue tessere compone l'immagine estremamente composita di una Italia nuova.
Documenta l'esposizione un importante catalogo edito dalla casa editrice Allemandi, a cura di Claudio Spadoni, con saggi di Marco Antonio Bazzocchi, Luciano Caramel, Claudia Casali, Alberto Giorgio Cassani, Francesco Poli, Luisa Somaini e Claudio Spadoni, mentre gli apparati bibliografici sono di Irene Biolchini.

Mostra: L'ITALIA S'È DESTA: 1945-1953
Arte italiana del secondo dopoguerra,da De Chirico a Guttuso, da Fontana a Burri

Curatori: Claudio Spadoni

Sede: MAR Museo d'Arte della città di Ravenna

Enti organizzatori: Comune di Ravenna - Assessorato alla Cultura,
MAR Museo d'Arte della città

Periodo: Ravenna, 13 febbraio - 26 giugno 2011

Sponsor ufficiale: Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna

MAR - Ufficio relazioni esterne e promozione
Nada Mamish - Francesca Boschetti
tel. +39.0544.482017 / 482775
fax +39.0544.212092
ufficio.stampa@museocitta.ra.it
www.museocitta.ra.it

Spilamberto: In mostra i reperti di una necropoli longobarda celata per quasi 1500 anni dalle argille del fiume Panaro

20 gennaio 2011 -

Il Tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera. Storie di guerrieri, donne e cavalli e di una ragazza dal velo d'oro. Fibule, armille, pettini, collane, raffinati manufatti in vetro o in bronzo fuso, gioielli di rara fattura ma soprattutto armi, di tutti i tipi: spade a doppio taglio, coltelli, cuspidi di lancia, punte di freccia, umboni di scudi. E poi decine di fibbie, perché il mondo di un Longobardo stava appeso alla cintura.


La piccola necropoli scoperta nel 2003 alle porte di Spilamberto non racconta solo la storia degli uomini e donne vissuti qui circa 1500 anni fa. Portando alla luce alcuni aspetti della loro vita privata, restituisce loro carne, sangue e sentimenti. Nulla intacca i resoconti delle loro celebri virtù guerriere. Ma dalle 34 sepolture in semplice fossa rinvenute a Ponte del Rio (di cui un terzo femminili) emerge un'epoca solo in parte lontana che torna a vivere nella forma di un sedile in tutto simile a quelli che usiamo ancora oggi o nell'eleganza di un cammeo che, creato per una matrona romana, si trasforma prima in raffinato gioiello per qualche nobile vissuta in epoca bizantina e infine in prezioso monile per una giovane "principessa" longobarda.

La necropoli longobarda di Spilamberto non è solo ciò che resta di un gruppo di guerrieri con le loro famiglie, forse un clan gentilizio (fara), insediatosi qui per occupare e controllare un territorio di confine. È soprattutto la testimonianza della più antica presenza stabile di immigrati longobardi nel Modenese. Un ritrovamento quindi che, per varietà di reperti e alta cronologia, fa di Spilamberto un luogo nodale per la storia dell'Emilia-Romagna nell'altomedioevo.

È dedicata a questa straordinaria scoperta archeologica la mostra "Il tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera" allestita fino al 25 aprile 2011 nello Spazio Eventi "L. Famigli". Organizzata da Comune di Spilamberto e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna, con l'importante collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, la mostra espone quattro tra le sepolture più significative rinvenute nella vasta area di Cava di Ponte del Rio, nei pressi del fiume Panaro. I corredi sono presentati in una piattaforma centrale, insieme a uno dei tre cavalli sacrificati con i padroni defunti; ampie nicchie di contorno trattano i temi dell'abbigliamento, degli ornamenti, della cura della persona, delle armi e del vasellame da tavola. Tra i reperti, illustrati da un ampio apparato reso più suggestivo dalla grafica ricostruttiva, spiccano i filamenti in oro di un tessuto di broccato che probabilmente velava il volto di una giovane defunta, un raffinato corno potorio in vetro e un'eccezionale sedia pieghevole in ferro (sella plicatilis) decorata con agemina in ottone a motivi geometrici e vegetali.

Ma chi erano i Longobardi? Invasori selvaggi che rasero al suolo quanto restava della civiltà classica, oppure popolo di emigranti già ampiamente romanizzato che avrebbe potuto trasformare l'Italia in una Nazione, come i Franchi stavano facendo al di là delle Alpi? Il dibattito su questo popolo guerriero sceso dalla Pannonia e padrone della Penisola per più di due secoli è ancora aperto.

Una cosa è certa. Quando i Longobardi arrivano al seguito di re Alboino, nel 568, le città hanno perso da tempo lo splendore dell'età imperiale: le strade sono disselciate, i commerci languono e le condizioni di vita sono fortemente deteriorate, soprattutto nelle regioni del nord.
Nelle città i nobili guerrieri occupano le dimore signorili e i palazzi superstiti mentre il resto della popolazione ricava modeste case nelle antiche domus romane. Nelle campagne, come a Spilamberto, piccole comunità si insediano nelle fattorie di età romana o in nuovi villaggi di capanne e terra fin dalla prima fase migratoria. Il confine tra regno longobardo ed Esarcato bizantino è a pochi chilometri; in attesa di chiarire i rapporti di forza con gli scomodi vicini è qui che serve un avamposto militare presidiato dagli uomini migliori.

La necropoli longobarda di Ponte del Rio getta nuova luce sulle vicende ancora poco note di un periodo cruciale per la formazione dell'identità regionale. Scavata nel 2003 sotto la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna (finanziamento Era 2000), ha restituito 34 tombe a inumazione, a semplice fossa rettangolare, in pochi casi dotate di casse in legno, forse a indicare un più elevato status sociale del defunto. Tutte le sepolture sono orientate est-ovest (con cranio ad ovest), come di regola nei cimiteri di questo periodo, e paiono distinte in piccoli gruppi, forse familiari. Uomini e donne sono deposti supini, molti con il proprio abito quotidiano di cui restano quasi esclusivamente le parti metalliche; nella tomba sono spesso lasciati doni funebri di diverso tipo.
I guerrieri sono sepolti con le armi individuali che connotavano il rango dell'uomo libero quando la popolazione longobarda era ancora stanziata nelle aree pannoniche (Ungheria) prima della migrazione in Italia nel 568-569. Sono state rinvenute spathe (spade con larga lama a doppio taglio), coltelli, fibbie da cintura in bronzo, cuspidi di lancia, punte di freccia e la parte centrale e sporgente in ferro degli scudi (umbone).

Anche le ceramiche, trovate sia nelle deposizioni maschili che in quelle femminili, fanno riferimento alla tradizione longobarda extra-italica. Si tratta in genere di bicchieri e bottiglie realizzati al tornio lento e decorati con la tecnica «a stralucido» e «a stampiglia» con motivi geometrici semplici o compositi.

Di grande importanza l'analisi degli accessori pertinenti all'abbigliamento rinvenuti nei corredi funerari: mai, come parlando di questo popolo, possiamo dire che l'abito fa il Longobardo.
Risale al tradizionale costume femminile tipico della prima fase di immigrazione, una fibula (spilla) a «S», composta da due figure zoomorfe stilizzate e contrapposte, che chiudeva probabilmente il mantello indossato sopra la tunica. Le fibbie appartengono invece a cinture di cuoio, portate da entrambi i sessi, a cui venivano fissate strisce di cuoio di varia lunghezza cui erano appesi coltellini, dischi, perle in vetro ed anche perle semipreziose interpretabili come amuleti. Fibbie di dimensioni più piccole servivano probabilmente a chiudere borsette in cuoio (anch'esse appese alla cintura) che contenevano oggetti di uso quotidiano per la toilette personale, per cucire o accendere il fuoco. Tra i manufatti d'uso quotidiano figurano anche acciarini e pettini in osso a dentatura semplice e doppia. I pettini -in altri casi deposti nelle sepolture per il loro valore apotropaico, a protezione del defunto dagli spiriti maligni- compaiono a Spilamberto solo in sepolture femminili e potrebbero quindi essere stati inseriti come oggetti personali piuttosto che per il loro significato magico.

Le numerose collane e braccialetti rinvenuti sono composti da perle multicolori in pasta vitrea, ambra, ametista e pietre dure, con inserzione di elementi in oro negli esemplari più ricchi.

Le variazioni della moda avvenute per i contatti con il mondo romano-bizantino determinarono la sostituzione delle fibule a «S» con una sola fibula a disco. In una delle tombe femminili più ricche è stato trovato un esemplare eccezionale costituito da un cammeo romano montato in argento dorato e circondato da perle di fiume, paste vitree e motivi a filigrana.

In generale, pare che le donne di questa comunità abbiano abbandonato abbastanza presto i costumi funerari di stampo etnico più antichi, per accogliere in tempi brevi le usanze locali
Anche se nella necropoli di Spilamberto le tombe davvero ricche sono poche, esse contengono oggetti personali e complementi di corredo di altissimo livello qualitativo.

La sepoltura di una fanciulla certamente di alto lignaggio ha restituito i resti di un velo intessuto di sottili striscioline d'oro. Il broccato aureo è sicuro indizio di dovizia e status sociale elevato: basti pensare che era la legge a stabilire chi fosse autorizzato a indossarlo. L'alto rango della defunta è confermato dalla presenza di una sella plicatilis in ferro (sgabello pieghevole) decorata ad agemina in ottone, con motivi geometrici e vegetali; un oggetto di grande lusso e tecnologicamente sofisticato, di cui si conoscono per il periodo ben pochi esempi in tutta Europa.

Altri raffinati manufatti in vetro (corni potori, bicchieri, coppe e bottiglie) ed in bronzo fuso di produzione italica e mediterranea (una brocca, una padella, una lucerna guarnita di catena di sospensione e bossolo bruciaprofumi in argento) compongono corredi sontuosi e lasciano pensare che tali oggetti fossero stati prescelti non tanto per il loro valore intrinseco quanto per il significato simbolico che rivestivano.

Il corno potorio è retaggio di una tradizione assai antica, condivisa anche da altre popolazioni germaniche, mentre gli oggetti in bronzo delle sepolture femminili sono manifatture di ambito romano-bizantino che per quanto rare si ritrovano anche nel territorio modenese (Montale).

Il rinvenimento di questo tipo di bronzi e di un cucchiaio in argento con iscrizione augurale in latino, anch'esso di tradizione romana, costituisce un dato socio-economico e "politico" di grande interesse perché attesta il sussistere di rapporti commerciali (e con ogni probabilità anche personali) permanenti con le aree bizantine, nonostante la continua pressione espansiva dei Longobardi nei confronti della Romania che durerà in sostanza fino alla fine del regno.

Di particolare interesse infine le tre deposizioni di equini, due delle quali sicuramente acefale e associate a sepolture femminili. Questa pratica rituale, testimoniata da una casistica abbastanza ampia riscontrata in Italia, Germania e in Austria, si differenzia da quella nomadica di origine euro-asiatica, caratterizzata invece dalla inumazione nella medesima tomba di cavallo e cavaliere. Essa nacque nell'Europa occidentale tra III e V secolo e si diffuse successivamente nei territori estesi ad est del Reno fra le popolazioni germaniche che comprendevano Franchi orientali, Alemanni, Longobardi e Turingi.

La mostra è promossa da Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna (Dott. Luigi Malnati) e Comune di Spilamberto (Sindaco Francesco Lamandini e Assessore alla Cultura Daniela Barozzi), in collaborazione con Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia e Gruppo Naturalisti di Spilamberto, con il patrocinio di Presidenza della Repubblica, Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Regione Emilia-Romagna e Provincia di Modena. Contributo della Fondazione di Vignola. Main sponsor Era 2000; sponsor Gruppo Cremonini, Banca Popolare dell'Emilia-Romagna, Cassa di Risparmio di Vignola e Banco Popolare di Verona-Banca S. Geminiano e S. Prospero.

Catalogo in italiano e inglese

Mostra
Il Tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera
fino al 25 aprile 2011

Spilamberto (MO), Spazio Eventi "Liliano Famigli"
Viale Rimembranze, 19

Orari di apertura
venerdì 18.30-22 (con visite guidate alle ore 20 e 21)
prefestivi e festivi 10-12.30 e 15-18.30 (con visite guidate alle ore 10.30, 11.30, 16.30 e 17.30)
(chiusa 24 e 31 dicembre, 1 gennaio)

Per prenotazione visite guidate in altri giorni ed orari telefonare allo 059.789929

Visite guidate a pagamento in giorni e orari diversi da quelli di apertura (gruppi min. 10, max. 30 persone): per info AR/S Archeosistemi

letture consigliate per chi vuole approfondire i temi della mostra

E dopo la mostra visitiamo Spilamberto...

Museo dell'Aceto Balsamico Tradizionale. Ospitato nella signorile Villa comunale Fabriani (XVIII-XIX), il Museo espone testimonianze tangibili della storia e delle tradizioni del prezioso condimento dal sapore ineguagliabile. A pochi passi dal museo sorge Il Torrione, imponente complesso monumentale edificato all'ingresso del paese all'inizio del sec. XIV allo scopo di fortificare il castello da ovest. Nella torre fu scoperta, nel 1947, una cella con le pareti graffite - secondo la leggenda - con il sangue. Narra la tragica storia d'amore di Messer Filippo. Il Torrione ospita anche l'Antiquarium, museo che raccoglie le testimonianze di siti archeologici rinvenuti a Spilamberto. Attraverso gli archi del Torrione si accede a Corso Umberto: questa via è per gli spilambertesi il cuore del paese. Percorrendo il corso ci si imbatte in costruzioni di grande interesse storico come la medievale residenza dei feudatari: l'antico Palazzo Rangoni (detto anche del Bargello sec. XV) sotto il cui portico, chiamato del Pavaglione, fin dal 1578, si teneva il mercato del bozzolo da seta. Al termine del corso sorge la Chiesa di S. Giovanni Battista dedicata al Santo Patrono del Paese. Fondata nel 1210, la chiesa assunse l'aspetto attuale nel 1757. Nel 1910 fu intonacata ed affrescata dal maestro modenese Augusto Valli. La Chiesa di S. Adriano fu fondata agli inizi del sec. XIII, ma subì diversi rifacimenti fino al 1713 quando l'architetto modenese G.A. Franchini le conferì le attuali sembianze. All'interno importanti opere di terracotta del sec. XV e pregevoli dipinti. Prima di arrivare alla Rocca Rangoni, si può ammirare sulla inistra il Palazzo del Governatore (1525). Il maestoso edificio che incornicia la prospettiva del centro storico è laRocca Rangoni: costruita all'inizio del XIII secolo fu trasformata da fortezza a residenza attorno alla metà del seicento dalla famiglia Rangoni che la utilizzò come abitazione signorile. Dal 2005 l'edificio e il suo parco sono di proprietà dell'Amministrazione Comunale. (testo tratto dal sito del Comune di Spilamberto

Informazioni
Comune di Spilamberto
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mercoledì 19 gennaio 2011

NINA SOLDANO, COME HO CONQUISTATO IL MIO "POSTO AL SOLE". L'INTERVISTA: "IL CINEMA è UN CLAN, UN CIRCUITO CHIUSO"

Una donna decisa, costante nel raggiungimento dei propri obiettivi: è Nina Soldano, attrice "sempre in movimento, pronta ad agire e reggere ben salde le redini della sua vita", come riporta il suo sito nella presentazione iniziale. Nota al grande pubblico soprattutto per il ruolo di Marina Giordano che sostiene dal 2003 nella soap italiana "Un posto al sole" in onda dal lunedì al venerdì su Raitre, nella sua carriera ha attraversato e vissuto variegate esperienze artistiche dai fotoromanzi alla televisione con Pippo Baudo e Renzo Arbore fino alle pellicole e ai cortometraggi realizzati per il piccolo e grande schermo: tappe che ha raggiunto con convincimento e continuità sin da quando a ventun anni ha deciso di prendere armi e bagagli per sbarcare nella capitale e realizzare il suo sogno di attrice. L'abbiamo intervistata.

martedì 18 gennaio 2011

CIARROCCHI. Opere scelte

18 gennaio 2011 -

Ad Arnoldo Ciarrocchi (Civitanova Marche 1916-2004) viene dedicata questa antologica che raccoglie, dal 5 febbraio al 27 marzo 2011 a Castel Sismondo, opere provenienti dalla collezione di famiglia dell'artista. Incisore tra i maggiori del secondo Novecento italiano, Ciarrocchi si distingue per la raffinatezza tecnicae per l'inconfondibile sensibilità del segno grafico, caratterizzato da potenza e luminosità, ma soprattutto per la sua copiosa produzione che spazia dall'incisione ai dipinti e agli acquerelli.


Questa retrospettiva è un ulteriore, qualificato, momento del progetto di affiancare, a Castel Sismondo, grandi interpreti del contemporaneo italiano ai capolavori impressionisti e del Salon e a Caravaggio e aiMaestri del Seicento.

Marco Goldin, ancora una volta, conferma così la scelta di offrire al pubblico delle mostre "storiche" una qualificata occasione per avvicinarsi all'arte contemporanea.
In questo progetto, il curatore è affiancato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che con Linea d'ombra, propone anche questa mostra, e dal Gruppo Euromobil dei Fratelli Lucchetta, main sponsor di tutte le mostre riminesi di questa stagione.

Considerato tra i migliori incisori contemporanei per la sensibilità del segno grafico, Ciarrocchi è un sensibile interprete della ultura marchigiana non solo nell'incisione ma anche nei dipinti a olio e negli acquerelli.
I suoi quadri hanno come soggetto preferito le figure, soprattutto figure femminili, ma anche paesaggi, che risentono dell'influenza di Morandi per la volumetrica concisione con cui sono definite case e vegetazione e per i dosati accostamenti tonali. Peculiare di Ciarrocchi è invece la continua ricerca di sintassi compositiva e di studio dell'influenza della luce sulle forme naturali; il lavoro costante sullo spazio e sulla luce, in particolare sulla luce delle albe adriatiche che caratterizzano molti dei suoi paesaggi marchigiani e che trasfigurano il reale in una dimensione interiore che lo avvicina alla pittura della Scuola Romana.
Conosciuto e apprezzato come incisore e pittore, Ciarrocchi si dedica anche all'acquerello, realizzando una copiosa e sistematica produzione che rappresenta un unicum nel panorama contemporaneo. Immediatamente gli vengono riconosciute capacità e sapienza nel trattare questo linguaggio espressivo al punto da considerarlo perfettamente congeniale alla sua poetica. Una poetica caratterizzata da un'espressività vibrante ed emotiva, che raggiunge il suo vertice espressivo negli acquerelli della serie Paesaggi dell'Asola, realizzati fino agli anni novanta.

Compiuti gli studi all'Istituto d'arte di Urbino, nel 1937 Ciarrocchi si trasferisce a Roma, dove lavora come torcoliere presso la Calcografia Camerale per diciassette anni. Nel 1951 espone alla Galleria Vigna Nuova di Firenze cento acqueforti e ottiene il premio per l'incisione alla prima Biennale internazionale d'arte di San Paolo in Brasile, cui faranno seguito numerosi e prestigiosi riconoscimenti. Nel 1956 diviene insegnante di Tecnica Incisoria all'Accademia di Belle Arti di Napoli; le sue opere saranno poi presenti alla Biennale di Venezia nel 1962 e alla Quadriennale di Roma nel 1976.

Info e prenotazioni: www.lineadombra.it