La casa editrice Castelvecchi ha pubblicato il romanzo di Massimiliano e Pier Paolo Di Mino (insieme nella foto) Fiume di tenebra, l'ultimo volo di Gabriele d'Annunzio
(pagg. 256, € 16,00) per la ricorrenza del novantennale del cosiddetto
"Natale di sangue", quando le truppe regolari del generale Caviglia
entrarono nella città irredenta di Fiume per porre fine all'occupazione
della città da parte di Gabriele D'Annunzio e dei suoi arditi. Il
libro rivisita gli ultimi giorni dell'occupazione della città, oggi
croata. Fiume di tenebra prende le mosse da un fatto reale, ossia il
fallito attentato a Gabriele D'Annunzio organizzato da un misterioso
gruppo di cospiratori interessato a rimuoverlo dal comando che egli
detenne su Fiume dal settembre 1919 al dicembre 1920. Fattitaliani ne parla con gli autori Massimiliano e Pier Paolo Di Mino.
Il romanzo "Fiume di tenebra" nasce da una vostra passione più per la storia o per D'Annunzio?
Lavoriamo
sulla storia, intesa, come mito progressivo. Potremmo anche parlare
di metafora progressiva. In questo senso un materiale storico inerte
non ci interesserebbe mai. Non siamo interessati a scovare equazioni
simboliche fra un'epoca e la nostra. Per questo D'Annunzio, e
soprattutto il D'Annunzio che crea Fiume, con le sue vaste ambiguità e
sfumature umane, era il personaggio adatto alla storia che volevamo
raccontare.
Qual è la percentuale nel romanzo di "storia e invenzione": in che modo vi siete regolati nel miscelare i due elementi?
Avevamo
in mente una storia e ci siamo accorti che a Fiume era successa
realmente. Abbiamo letto tutto ciò che è possibile leggere sull'impresa
del poeta allo scopo preciso di non doverlo usare. Abbiamo agito su un
punto oscuro e non documentato, e lì abbiamo fatto vivere, pensare,
disperare i personaggi esattamente come avrebbe potuto fare e, quindi,
hanno fatto. In questo romanzo c'è molta invenzione perché ogni
personaggio racconta, come è inevitabile per chi viva in prima persona
un avvenimento, una sua Fiume personale. Diciamo che questo è un
romanzo fantastico per eccesso di realismo.
Nel romanzo, D'Annunzio è Fiume,
perché Fiume è la sua creazione. Il fallimento della sua impresa
coincide con il fallimento del suo sogno poetico. Come ogni poeta
D'Annunzio era strutturalmente incapacitato a distinguere anima e
corpo, letteratura e vita: quello che vive il poeta è un disastro
umano completo. Il nostro Vate è un personaggio tragico, e nella sua
costruzione abbiamo voluto fare a meno del D'Annunzio poeta, del
D'Annunzio politico. Insomma del D'Annunzio biografico.
Il primo piano di Fattitaliani dedicato all'intervista |
Gli intenti storici di D'Annunzio
potevano benissimo sfuggire a lui per primo. Per quanto riguarda
l'impresa di Fiume, o, più in generale, di tutto il vasto movimento
patriottico, democratico, vitalistico e rivoluzionario che, a partire
dalla Repubblica Romana del '49 arriva fino all'impresa di D'annunzio,
si può dire più facilmente che, piuttosto che essere stato frainteso o
poco indagato, è stato rimosso e mistificato.
La preparazione sul materiale
storico è minuziosa. Ognuno di noi è stato lì. Ognuno di noi può
interpretare quei personaggi con la loro voce e la loro lingua. Si è
trattato solo della fatica di trascrivere i ricordi di alcune
settimane trascorse a Fiume nel 1920.
Giovanni Zambito.
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