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giovedì 9 giugno 2011

Settanta acrilico, trenta lana: Fattitaliani intervista la giovane autrice Viola Di Grado

Fra pochi giorni si conosceranno i nomi dei cinque finalisti al premio Strega 2011: Fattitaliani ha intervistato la più giovane degli attuali dodici candidati, la 23enne catanese Viola Di Grado che con il suo romanzo d'esordio Settanta acrilico, trenta lana (edizioni e/o, pagg. 192, € 16,00) ha conquistato molti critici e fatto incetta di premi e riconoscimenti e adesso la candidatura al premio Strega. Eppure la giovane scrittrice non si aspettava un tale riscontro per il suo debutto narrativo, perché "sono una pessimista cosmica", ammette. Protagonista del libro è Camelia che si abitua e si adegua all'assoluto mutismo della madre, traumatizzata dalla morte del marito finito con l'automobile in un fosso in compagnia dell'amante.
Da quel momento comunicano attraverso la lingua degli sguardi, e mentre la madre si aggira per casa sporca e puzzolente, scattando ossessivamente fotografie ai buchi dei tavoli, delle tende, del formaggio, del soffitto, Camelia lascia l'università e i suoi studi di cinese e traduce manuali di istruzioni per lavatrici fino a smettere di parlare anche lei fino a quando incontrerà Wen, il suo insegnante di cinese, che la farà ricominciare a parlare... Ecco l'intervista di Fattitaliani.
Chi l'ha incoraggiata alla scrittura? il percorso che ha portato alla pubblicazione del romanzo è stato tortuoso?
Sono cresciuta tra i libri, mia madre (Elvira Seminara) è scrittrice, mio padre professore universitario di letteratura italiana. Ma proprio per questo, da piccola per ribellione mi lanciavo su altri tipi di creatività, ad esempio costruivo giochi da tavola. Ma avevo anche inventato un mio alfabeto e da lì sono approdata alla scrittura. Il percorso per la pubblicazione non è stato tortuoso, ho lavorato molto sul romanzo e solo quando ne ero convintissima l'ho mandato, e la casa editrice mi ha contattata dopo un anno.
Elemento fondamentale del romanzo è la parola: quelle non dette fra madre e figlia e quelle che la protagonista pensa in silenzio e riproduce in cinese, per non parlare dello stile. Rispetto alla prima stesura ha limato parecchio il testo?
Ho tagliato sì ma non tanto. Quando ho mandato il romanzo alla casa editrice l'avevo già limato, e fortunatamente è piaciuto così, non mi sono stati chiesti cambiamenti.
La passione e l'amore per la lingua cinese quanto è autobiografico?
Anch'io come Camelia sono una feticista degli ideogrammi. Una volta mi sono chiusa con loro per due settimane, solo io e un pennello e l'inchiostro, mentre fuori nevicava. E anch'io, quando avrò trovato il mio ideogramma preferito, me lo tatuerò da qualche parte.
E i riferimenti alla realtà inglese e ai suoi abitanti?
A me piace molto Leeds, solo Camelia ci ha trovato dentro l'apocalisse. Ma questo non significa che non ci siano tante verità dentro, camuffate nel surreale. Per esempio, gli inverni sembrano infiniti. (E gli inglesi vestono estivi tutto l'anno nonostante il molto freddo, e usano la parola Sorry compulsivamente, etc.).
Viaggiando dalla Sicilia verso Torino e poi a Londra e in Cina ha avuto proprio una percezione diversa della luce, altra protagonista della storia: è così?
Non ci ho mai pensato, forse sì. La Sicilia abitua troppo bene in termini di luce.
Camelia va calpestando e distruggendo fiori: il nome della protagonista è un fiore, anche il suo... In che cosa è ravvisabile un raccordo in tutto ciò?
È un gioco sadico di fiori che fanno del male ad altri fiori: Camelia li decapita, Lily (giglio) forse si è uccisa, e io faccio del male a Camelia infliggendole una vita orribile.
Che cosa della Sicilia porta sempre con sé e le manca particolarmente?
Nulla, in fin dei conti. A Londra desidero il sole siciliano primaverile, ma quando vengo a prendermelo in Sicilia desidero il vento inglese e le pazze piogge. Quando viaggio, poi, non desidero nient'altro: per me, come disse Bashō, il viaggio è casa. Giovanni Zambito.

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