Pagine

giovedì 12 settembre 2013

L'occupazione fascista della Jugoslavia, Eric Gobetti racconta l'Imperialismo straccione di Mussolini

La Jugoslavia capitola in 7 giorni nell’aprile del ’41. Hitler mette in campo poche divisioni, gli italiani sono al seguito. La spartizione del territorio prevede alcune annessioni e due stati collaborazionisti, la Serbia sotto l’egida tedesca e la Croazia degli Ustascia protetta dai fascisti. Nei territori annessi all’Italia, la Dalmazia, parte della Slovenia e il Montenegro, i fascisti costruiscono un sistema di governo complesso sotto la regia dello stesso Ciano, ministro degli esteri. L'idea è di sviluppare un occupazione morbida collaborando con le elites politiche ed economiche locali. Un altro pilastro del sistema è la Grande Albania già da tempo nell’orbita italiana. Iniziano i due anni di occupazione che si concluderanno il 25 luglio 43 quando il regime fascista svanisce travolto dalla tragedia della guerra. 

Li racconta Eric Gobetti, giovane studioso del fascismo e della Jugoslavia con un libro “Alleati del nemico” (Laterza, 164 pagine, 19 euro) frutto di una ricerca sul campo lunga 12 anni. Gobetti ha scandagliato centinaia di documenti, libri e memorie per scrivere questo saggio che non è il primo che dedica all’argomento. Lo muove l’ambizione di raccontare con ordine e precisione un capitolo ancora oscuro dell’imperialismo fascista, zeppo di protagonisti e comprimari, alleanze ambigue, esecuzioni sommarie, cambi di campo. L’avventura balcanica dei fascisti parte subito male. Il progetto iniziale si liquefa in pochi mesi. L’indipendenza del Montenegro si rivela un fallimento e così l’unione dinastica tra i regnanti croati e i Savoia. Dal canto loro gli Ustascia di Ante Pavelic dilapidano immediatamente il tesoretto di consenso attraverso una dissennata persecuzione di rom, ebrei e soprattutto di serbi. Esecuzioni, deportazioni e campi di concentramento diventano una triste realtà quotidiana. Gli Ustascia hanno il sostegno morale della chiesa croata e del Vaticano, non di rado, sacerdoti cattolici li affiancano nei massacri. Alla fine, nei 4 anni di occupazione, saranno 500.000 i serbi uccisi. Tra gli italiani, la truppa non di rado aiuta queste minoranze, ma a Zagabria i vertici fascisti appoggiano entusiasticamente Pavelic.

La pacificazione dell’area si rivela un miraggio, alla fine del 41 tutti i territori sono in rivolta. La resistenza ha diverse anime, la più solida è quella comunista. Una volta che l’invasione dell’Urss da parte di Hitler scioglie l’equivoco del patto Molotov-Ribbentrop. Josip Broz detto Tito non ha più remore a chiamare i suoi alle armi. Ma a prendere le armi ci sono anche i cristiano-ortodossi e i tradizionalisti serbi e montenegrini. Proprio in Montenegro i partigiani comunisti cacciano i fascisti che lasciano sul campo almeno un migliaio di soldati e 3000 prigionieri. Parte una repressione durissima. Giuseppe Bastianini, responsabile del Governatorato della Dalmazia, da il via ad arresti, rastrellamenti, esecuzioni capitali. Il Montenegro viene rioccupato dal generale Pirzio Biroli a capo di un’armata di 70.000 individui. Anche il rapporto tra fascisti e Ustascia si va deteriorando, più in generale la strategia di cogestione del potere con i locali viene abbandonata a favore di una militarizzazione forzata del territorio. Al massimo si stabiliscono collaborazioni militari con alcune bande armate locali, in particolare con i serbi che distaccandosi dalle fila della resistenza in funziona anticomunista, nazionalista e monarchica danno vita alla formazione dei Cetnici. Guidati dal generale Mihailovic e fautori di un grande stato serbo su base etnica, i Cetnici danno la stura ad una guerra civile che dalla fine del 41 vedrà su due fronti contrapposti collaborazionisti e partigiani comunisti di Tito, diventati ormai il vero centro del movimento di liberazione jugoslavo. Al dramma dell'occupazione militare straniera si somma così un altro dramma anch'esso gonfio di odio e di violenza. Anche se non mancano travasi di uomini da un fronte all'altro, Cetnici e partigiani si odiano visceralmente, con i primi che pagano un forte dazio con la popolazione per la ferocia esercitata sui civili (dalla quale invece Tito saggiamente si astiene) e per la sostanziale ambiguità che li accompagna, da un lato, collaborazionisti con gli occupanti, dall'altro, dichiaratamente appartenenti al fronte occidentale antifascista.

Questo nuovo complicato scenario brucia le grandi ambizioni del Regime. I Savoia perdono ogni interesse, il grande capitale italiano abbandona l'area, la resistenza è diventata pericolosa, il risultato è che la ex Jugoslavia è solo un onere finanziario per l'Italia. All'alba del 42 è l'esercito a governare gran parte del territorio, sale invece la sfiducia verso gerarchi fascisti e amministratori civili. In Montenegro comanda il generale Pirzio Biroli, a Lubiana il generale Mario Robotti, solo in Dalmazia resiste il governatore Giuseppe Bastianini. Sull'intero fronte l'esercito impiega 300.000 unità, il doppio rispetto all'anno precedente. Il grosso appartiene alla II armata guidata dal generale Mario Roatta che da il via a importanti operazioni antiguerriglia votate però a un sostanziale insuccesso. E' in questo contesto che Roatta emana la famosa Circolare C che autorizza i soldati italiani a praticare una politica di terrore anche contro i civili: il risultato sono oltre 100.000 persone internate nei campi, centinaia di fucilazioni e una distruzione sistematica del territorio, che porterà all'inedia di massa e al diffondersi delle malattie. Sono questi gli scogli sui quali andrà ad infrangersi lo stereotipo del "buon soldato italiano" che per anni abbiamo accarezzato per rimuovere le nostre responsabilità belliche. In realtà i militari italiani sono intoccabili, autorizzati a qualunque abuso. E lo saranno anche nel dopoguerra, quando le autorità italiane si rifiuteranno di consegnare 750 individui di cui la Jugoslavia chiedeva l'estradizione per crimini di guerra. I generali inquisiti si difenderanno sostenendo la presunta brutalità mostrata dai partigiani verso i soldati italiani, ma Gobetti smonta questa giustificazione perchè non ve n'è traccia nei documenti storici.

Ai croati non è andata giù l'alleanza italo-cetnica, la diffidenza sale al punto che Pavelic finisce per entrare nell'orbita dei tedeschi che vantano mire sulla Croazia. D'altro canto il blocco italo-serbo è quasi contro natura in quanto Mihailovic è in sostanza il capo di un esercito in guerra contro l'Italia. Non a caso i tedeschi gli danno la caccia. Lui, convinto che il conflitto terminerà con una vittoria degli alleati anglosassoni, cerca di non stringere troppo l'alleanza con gli italiani che comunque gli è utile non solo in funzione anticomunista, ma anche per mettere in atto una pulizia etnica nelle regioni serbe che porterà 65.000 morti. Insomma la confusione è tanta sotto il cielo jugoslavo. In diversi casi gli italiani saranno corresponsabili dei massacri cetnici, ma tra i soldati non mancano atteggiamenti di riprovazione. D'altro canto Gobetti racconta come gli italiani si spenderanno per sottrarre gli ebrei dalle grinfie tedesche e Ustascia, riuscendo a salvarne 5000. La svolta si ha inizio '43 quando le sconfitte di Stalingrado ed El Alamein cambiamo segno al conflitto. In Jugoslavia gli italiani decidono di ripiegare e di restringere il fronte sotto il loro controllo. I partigiani di Tito vincendo la battaglia della Nerevtna nel marzo sfuggono all'accerchiamento tedesco, sbaragliano i Cetnici e mettono una seria ipoteca sulla vittoria finale. Del resto la popolazione è dalla loro parte: studenti, operai ma anche contadini dimostrano di preferire la multietnica e pluri-confessionale Jugoslavia comunista di Tito piuttosto che una grande Serbia etnicamente pura. Dopo il 25 luglio e la fine del Fascismo gli italiani sono come compressi in un limbo, quando arriva l'8 settembre e l'armistizio possono solo contare su se stessi. La maggioranza cerca la fuga verso l'Italia, ma a frotte finiscono nelle mani dei tedeschi, occasionali tentativi di resistenza si sviluppano in Montenegro e a Dubrovnik, mentre una parte decide di passare nelle fila della resistenza. Gli Ustascia combatteranno per altri due anni accanto ai tedeschi, poi quando arriva il crollo Pavelic riuscirà a mettersi in salvo grazie all'appoggio del Vaticano. La parola fine cala su questo conflitto ambiguo dove, sottolinea Gobetti, "E' difficile distinguere tra amici, nemici, avversari e alleati". In fondo i soldati italiani hanno fatto il loro dovere anche se accompagnati da un senso di impotenza, l'Impero fascista, invece, ha fornito un'altra prova della sua evidente impreparazione. In cinque anni di guerra gli jugoslavi hanno perso un milione di persone. Ma soprattutto hanno maturato un odio verso di noi che già nel 43 da il via alle prime Foibe.
Mauro Scarpellini

Nessun commento:

Posta un commento