Non vogliamo cadere nelle
maglie dell’indifferenza globalizzata, né rischiare di vivere con un
cuore in perenne stato di anestesia, tanto più, non siamo per nulla
favorevoli alla pratica dell’arte dell’occultamento o della rimozione di
quanto ci pesa o possa pesarci sulla coscienza, perciò non ci è
consentito scendere in tema di migrazioni, profughi e rifugiati, al di
sotto dei contenuti e dei toni usati da Papa Francesco nella vibrante
omelia dell’8 luglio a Lampedusa, reiterati poi dallo stesso Vescovo di
Roma, e con rinnovato vigore, nel Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2014 (dato il 5 agosto 2013), nel Discorso al “Centro Astalli” di Roma per il servizio ai rifugiati (10 settembre 2013), nel Messaggio Urbi et orbi del 25 dicembre e nell’Angelus 29 dicembre, non trascurando quanto già aveva detto nel Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio della pastorale dei migranti e degli itineranti (24 maggio 2013) ed in altre occasioni.
Ci sono propizi la
pubblicazione di una recente Conversazione tra Giusi Nicolini, sindaco
di Lampedusa, e Marta Bellingreri, scrittrice e mediatrice culturale, su
isole, politica e migranti, pubblicata dalle Edizioni Gruppo Abele,
nella collana Palafitte; e le notizie diffuse dal Viminale, circa una
circolare inviata ai prefetti per la ricerca di nuove strutture
ricettive, e lo sbarco nei primi giorni del 2014 di 1050 migranti sulle
coste italiane.
Leggendo “Lampedusa. Conversazioni su isole, politica, migranti”,
colpisce fortemente -seppur non sia inedito- l’atto di accusa del
Sindaco (come dimenticare, per citare il suo pensiero, la lettera
all’Europa del 3 novembre 2012 e qui riportata?): «perché in un Paese
come l’Italia e in Europa il diritto d’asilo deve essere chiesto a
nuoto? Perché bisogna lasciare che madri con bambini in braccio si
imbarchino per il Mediterraneo? Perché bisogna occuparsi solo dei
sopravvissuti che arrivano qui? Non è un crimine aspettare che i
migranti siano decimati dal mare?». Evidentemente sanguina, e parecchio,
quella ferita inferta dal “cattivismo maroniano” della politica dei
respingimenti a mare praticata tra il 2009 e 2011 e sanzionata dalla
Commissione Europea. In quella bruttissima stagione per l’accoglienza
dei migranti, agitata da perenni campagne in cerca di consenso
elettorale, orchestrate sulle note di accordi con dittatori e pacchetti
sicurezza che hanno alimentato solo polveriere rendendo poi tutto più
precario e incerto: «Sono state respinte in mare persone che avevano
diritto di asilo. Sono stati respinti barconi su cui c’erano donne
(alcune incinte), bambini, minori non accompagnati» gente che
puntualmente ha ottenuto lo status di rifugiato o ha beneficiato di una
protezione umanitaria.
Ma il sindaco non indugia
sulla ferita, ha una visione: il suo programma per l’Isola, il suo
contributo per la torsione del Mediterraneo da “mare monstrum” a “mare
nostrum”. Le sue proposte per i migranti non sono affette dalla miopia o
dagli strabismi tipici di chi è perennemente legato alla poltrona ed è
famelico di consenso elettorale, godono anzi di lungimiranza politica
-rara a dire il vero in questi tempi!- e di quel lungo respiro che
conferisce la voglia di costruire il bene comune favorendolo “senza ma e
senza se” attraverso le azioni di una cittadinanza attiva, la
promozione della legalità e la cultura dell’incontro e dello scambio che
contamina. Giusi Nicolini lo dichiara apertamente: «non mi interessano
le dinamiche politiche astratte. Mi interessa la politica che si fa sui
territori dove la gente vive, lavora, soffre».
Tenace, per nulla
intimidita dalle diverse azioni di dissuasione subite negli anni, Giusi
Nicolini mostra, e non solo a parole, di pensare in grande: il progetto
della biblioteca dei ragazzi con la sezione dei silent book, la proposta di trasformare la scuola in un campus,
la richiesta del riuso del fasciame delle imbarcazione dei migranti
sostituendola alla pratica dannosa e costosissima dello smaltimento, la
diversa destinazione della base loran, la destagionalizzazione e
diversificazione del turismo puntando ad un turismo responsabile e
solidale, l’inclusione del cimitero cittadino nel circuito turistico
quale luogo della memoria, il recupero degli ultimi dammusi (esempio superbo di architettura locale) e soprattutto, una definitiva uscita dell’isola dallo stato (business)
di continua emergenza: acqua, liquami, trasporti, sanità, istruzione…
Dalla conversazione tra il sindaco di Lampedusa e Marta Bellingreri
emerge l’isola che c’è: Lampedusa e la sua comunità. Certo è una piccola
scheggia nel Mediterraneo, ma è capace di non temere la storia e le sue
imprevedibili variazioni.
Alfonso Cacciatore
© Riproduzione riservata
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