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martedì 16 novembre 2010

“DA AZZARONI AI SIGNORINI. LA STORIA DEL MOSAICO RAVENNATE”


Nell'Italia dei crolli (oggi siamo offesi da quello della Casa dei Gladiatori di Pompei, ma non possiamo dimenticarci quelli della neroniana Domus Aurea, delle Mura Aureliane di Roma, del Duomo di S. Ciriaco ad Ancona, degli intonaci del Colosseo, solo per ricordare quelli più eclatanti e noti), dell'abbondanza di beni ambientali e culturali che il presente non sa amministrare a tal punto che con ciclica insistenza l'Europa propone di declassarci proprio in quel settore che dovrebbe vederci tra le eccellenze del pianeta, anche i moderni "tours d'Italie" - ovvero i rituali pellegrinaggi di massa alle mostre dei centenari, delle infinite ricorrenze, degli omaggi retorici, degli usa-e-getta pseudo culturali allestiti in fretta e furia solo per vendere un prodotto turistico - incominciano a venire a noia.

Nella maggior parte degli allestimenti temporanei è infatti sempre più raro trovare un'autentica idea guida, una proposta interpretativa, una ricostruzione singolare capace di svelare qualcosa di ignoto o di dimenticato e di condurre il visitatore all'interno di un percorso. La stragrande maggioranza delle "mostre" si riduce ad una esposizione più o meno enfatizzata di oggetti e ad una gara tra città e assessorati per attrarre maggiori flussi turistici.È come se ci fossimo dimenticati che una "mostra" prima di essere uno spettacolo espositivo è l'esposizione di un'idea, è il racconto di una vicenda umana, è aprire ciò che era chiuso a persone che non conoscevano ancora quella vicenda.
È per questo che stupisce e quasi ci spiazza la mostra "Da Azzaroni ai Signorini. La storia del mosaico ravennate" che Ravenna accoglie dal 15 ottobre fino al 27 novembre nei locali dell'Istituto d'Arte per il Mosaico (Via Pietro Alighieri 8) e presso la Galleria NiArt del mosaicista Felice Nittolo (Via Anastagi, 4). Perché ci spiazza? Perché non solo mette in scena oggetti, ma offre i risultati di una ricerca, descrive il percorso di un'idea, ha il coraggio – e chi mai ce l'ha ancora? – di avere una funzione. Ed è un'iniziativa autonoma che si avvale di sponsor privati e che offre un catalogo/libro a cura di Saturno Carnoli e di Felice Nittolo di massima dignità editoriale e di eccellente valore storiografico.
Alcuni dati preliminari. La Ravenna altomedievale è stata il laboratorio del mosaico bizantino e, di conseguenza, il luogo in cui è stata costruita l'intera iconografia cristiana delle origini. In seguito ha pagato il prezzo della diversa dislocazione, diremmo oggi, dei poteri forti e della crisi storica del mosaico che il Rinascimento e l'arte moderna hanno dimenticato, ma che soprattutto non hanno compreso. Ancora in pieno Ottocento il viandante si recava a Ravenna per visitare la tomba di Dante o per vedere la famosa pineta di fascino botticelliano, ma i suoi grandi "monumenti" – San Vitale, Galla Placidia, S. Apollinare Nuovo e in Classe, San Michele in Africisco – erano ormai diventati poco leggibili a tal punto da essere dimenticati o svenduti come gran parte del patrimonio italiano di quel periodo.
Poi è avvenuto un miracolo, che è miracolo di uomini che si incontrano forse per caso, è miracolo di volontà che si affiancano e di progetti che si realizzano. È la Ravenna di fine Ottocento che assume un ruolo pilota rispetto alla questione della conservazione e della tutela dei beni culturali, ma non lo assume con lo sguardo miope della politica di "campanile", bensì con lo sguardo lungo della grande politica capace di ridare alla città una eccellenza e di rilanciarla nel mondo.
Oltre agli oggetti esposti, è proprio il catalogo/libro scritto da Carnoli a raccontarcelo. Luigi Rava e Corrado Ricci, ravennati nati nel sesto decennio del XIX secolo, varano alcune linee guida di assoluta modernità nel campo della tutela e della conservazione: le problematiche della Cultura e dell'Arte devono essere trattate unitamente a quelle della Natura e del Paesaggio, la consapevolezza culturale deve essere tradotta in strumenti legislativi per la tutela e l'amministrazione di tali beni, la Bellezza è un patrimonio pubblico che limita anche il naturale diritto della proprietà privata. È la scoperta dell'ovvio? Non per quel tempo e, a ben rifletterci, non lo è neppure per il presente. È proprio in questo contesto eccezionalmente positivo che Luigi Rava, più volte Ministro del Regno e poi sindaco di Roma, si fa promotore di leggi contro il degrado e per la tutela dei beni paesaggistici e artistici. È lo stesso Rava che nominerà Corrado Ricci Direttore Generale delle Antichità e delle Belle Arti - e Ricci arriva a questo importante incarico dopo essere già stato riordinatore delle principali pinacoteche italiane, ma soprattutto direttore della prima Soprintendenza ai Monumenti d'Italia, quella di Ravenna.
La storia è affascinante come tutte le storie vere e il modo migliore per apprezzarla è passeggiare per i locali della mostra e immergersi nella piacevolissima lettura del catalogo/saggio di Carnoli, un misto di microstorie locali che confluiscono tutte in una più ampia storia di Ravenna e dell'Italia. Ci permettiamo però di estrapolare un elemento che ci pare di fondamentale importanza e che è perlopiù sconosciuto: l'equazione Ravenna–Mosaico nell'età contemporanea avviene proprio in quella fine Ottocento dei Rava e dei Ricci, quando alcuni uomini riescono a valorizzare un apparato monumentale incompreso, abbandonato e degradato. Per realizzare questo, essi compresero che era necessario trasformare Ravenna in un luogo di formazione di maestri mosaicisti, capaci di realizzare interventi di restauro eseguiti secondo la sapienza antica ma anche con criteri di intervento attuali, rispettosi del "testo", che anticipano di un secolo i capisaldi della "teoria del restauro" di Cesare Brandi.
È da questo ambiente che Carnoli mette in luce le vicende di una vera e propria saga familiare che fa la storia di Ravenna e dei suoi "monumenti", del restauro del mosaico, ma anche del mosaico come autonomo linguaggio dell'arte contemporanea secondo le intuizioni di Cezanne e delle avanguardie di inizio Novecento.
Ecco allora dispiegarsi la vicenda umana e professionale di Alessandro Azzaroni, straordinario disegnatore e eccellente pittore (apprezzato e stimato persino dal non facile D'Annunzio) che, insieme a Giuseppe Zampiga, è il fondamentale protagonista e documentatore degli interventi di restauro di questa "rinascita".
Segue il percorso unico del fotografo Ulderico David, genero di Azzaroni, testimone della Ravenna del primo Novecento, anche lui produttore di immagini. Non è solo la parentela ad incastonare David in questo albero genealogico, ma è l'originale accostamento – merito degli ideatori della mostra – tra la forma arcaica del mosaico bizantino, la forma del mosaico contemporaneo e il mezzo di comunicazione più innovativo dell'inizio del XX secolo, nella giusta convinzione che alla fine tutto comunque diventerà testimonianza di un passato da non dimenticare.
Poi è la volta di Renato Signorini, genero di David, allievo della Scuola del Mosaico guidata da Zampiga, che rappresenta il logico risultato di tutta questa vasta operazione culturale che porta alla creazione di una grande scuola di mosaicisti conosciuta in tutto il mondo. Rigoroso restauratore, Signorini partecipa nel dopoguerra a tutti i restauri dei mosaici ravennati a cominciare dal Battistero Neoniano a S. Apollinare Nuovo e in Classe, ma anche ad un numero sterminato di progetti d'arte contemporanea all'interno dei quali il mosaico assume finalmente un ruolo autonomo e la piena dignità di codice espressivo.
La saga si chiude con l'unico attore ancora vivente, Carlo Signorini, figlio di Renato e nipote di Ulderico David, che è destinato a continuare questa gloriosa tradizione familiare sia nel mondo del restauro (in Puglia negli anni Settanta e Ottanta realizza cantieri di restauro a Canosa, a Trani, a Bari, e soprattutto a Otranto per il monumentale mosaico della cattedrale) sia in quello del mosaico artistico contemporaneo. Oltre alla realizzazione di mostre personali e collettive in Italia e all'estero, con opere esposte nei musei di tutto il mondo, Carlo Signorini riesce ancora a trasmettere competenza e creatività a un numero rilevante di giovani mosaicisti, spesso rendendo possibile il superamento del semplice livello artigianale in vista di una loro più completa affermazione artistica.
Fermiamoci qui, anche perché ci toccherebbe ancora prendere a piene mani dall'inesauribile libro di Carnoli che fa da guida e da commento storiografico ai frammenti di mosaici esposti nella mostra, alle fotografie, ai quadri, alle lettere, ai lucidi, agli acquerelli su pergamino, insomma a tutto quel materiale documentario noto o in gran parte inedito esposto in questa occasione. Grazie a questa storia abbiamo incontrato persone, volti, oggetti, tracce di una eccellenza che oggi pare messa in dubbio da un mondo che non ha né la lungimiranza né la creatività di questi suoi attori straordinari.
Concediamoci però un'ultima emozione. Tra gli abiti esposti in un elegante negozio di Ravenna in via Cairoli, compare un bellissimo mosaico degli anni Quaranta realizzato dalla Scuola del Mosaico e, tra gli altri, da Renato Signorini. Anche questo merita un veloce racconto. Mandato a Milano per l'Esposizione del 1940, subisce gravissimi danni a causa di un bombardamento. I frammenti vengono raccolti e lasciati per decenni in un locale della famiglia Signorini, finché Carlo, proprio nel 2010, lo restaura in modo impeccabile. Se dovessimo spiegare a un neofita cos'è un restauro "archeologico" lo si potrebbe indirizzare proprio in Via Cairoli. Due dei quattro volti delle figure che rappresentano le "Quattro stagioni" sono ormai persi per sempre, ma l'opera è perfettamente leggibile e si respira tutta l'atmosfera artistica degli anni Trenta – alla Sironi tanto per intenderci. È di fatto un'altra stanza della mostra che si espande nella città e che si concede alla vista di un pubblico. Purtroppo nessuna traccia fotografica, nessun bozzetto del mosaico originario. Poi una telefonata. È di Saturno Carnoli che, sfogliando in archivio un numero della rivista "Domus" dell'aprile del 1940, ci dà notizia che ha incontrato la foto del mosaico prima dei danni. La ricerca continua, le mostre vere non chiudono mai, ma le mostre vere sono rare. E si sa, la singolarità è eversiva! Cesare G. Albertano.
"DA AZZARONI AI SIGNORINI. LA STORIA DEL MOSAICO RAVENNATE"
Ravenna, 15 0ttobre – 27 novembre 2010

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