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martedì 25 gennaio 2011

la scrittrice albanese Anilda Ibrahimi: "l'italiano mi ha salvato dalla retorica della mia lingua madre". l'intervista di fattitaliani


Venerdì 21 e sabato 22 gennaio a Roma presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università "La Sapienza" e la Casa Internazionale delle Donne si è svolto il congresso nazionale ADI-sd (Associazione degli Italianisti - Sezione Didattica) intitolato "Per correr miglior acque... A scuola di letteratura" e curato da Natascia Tonelli, Michela Costantino, Simona Di Bucci, Carla Sclarandis e Francesca Vennarucci. All'ultima sessione sono intervenute anche quattro scrittrici: la siciliana Silvana Grasso, la poetessa Sara Ventroni, la sarda Michela Murgia e l'albanese Anilda Ibrahimi con il suo bambino: "E' nato da due mesi: è il terzo figlio", ci dice.


Come fa a conciliare famiglia e scrittura?
Sarà nel mio dna essendo cresciuta in una cultura dove il valore della maternità è molto importante. Le donne di una volta riuscivano a fare tutto, con sette-otto figli: mentre lavoravano ai campi li curavano, li scolarizzavano, li educavano e non si lamentavano; diciamo che sono figlia di quella cultura.
Lei si trova a scrivere meglio in italiano piuttosto che in albanese: come mai?
Non scrivo proprio in albanese: ho scritto il primo romanzo direttamente in italiano e poi ho continuato con gli altri e andrò avanti così. Non è un fatto di amore a prima vista, ma dipende dal fatto che con l'italiano ci vivo la quotidianità. Per scrivere ho bisogno di "toccare" la lingua nel senso metaforico del termine, di maneggiarla, di avere un contatto viscerale che mi dà la quotidianità appunto, la vita; i miei figli sono italiani.
Reputa sufficiente il livello di interazione e scambio culturale fra Italia e Albania?
Abbastanza. L'interazione c'è: non dimentichiamo che c'è una presenza molto forte d'immigrazione. C'è dunque l'interazione con il luogo d'arrivo che si modifica come si è modificata anche la mia lingua, le mie storie, la mia letteratura. E lo stesso vale per gli altri, in altre materie non solo per la scrittura.
C'è un autore italiano che ha imparato a conoscere e che le ha ricordato uno scrittore albanese?
No, fino ad ora non è capitato. Sicuramente se dovessimo parlare di influenze su di me, devo riconoscere che l'italiano mi ha salvato dalla retorica della mia lingua madre, perché l'albanese è una lingua molto retorica. Io adoro la leggerezza calviniana, quindi è Italo Calvino il modello di letteratura che seguirei.
I protagonisti del romanzo "L'amore e gli stracci del tempo" (Einaudi, pagg. 280, €18,50) , al di là, della loro specificità, quali persone racchiudono?
Per me è lo sdradicamento: i due personaggi ne sono la metafora. Nel libro ho voluto raccontare lo sdradicamento in generale sia uomo o donna: in ogni mio libro tornano sempre gli stessi temi come lo sdradicamento radicale, questa "morte" per rinascere altrove, sotto un'altra forma, sotto un'altra lingua. Racchiude il mio destino come quello di tutti i migranti del mondo. Giovanni Zambito.
Anilda Ibrahimi è nata a Valona nel 1972. Ha studiato letteratura a Tirana. Nel 1994 ha lasciato l'Albania, trasferendosi prima in Svizzera e poi, dal 1997, in Italia. Il suo primo romanzo Rosso come una sposa è uscito presso Einaudi nel 2008 e ha vinto i premi Edoardo Kihlgren - Città di Milano, Corrado Alvaro, Città di Penne, Giuseppe Antonio Arena. Per Einaudi ha pubblicato anche il suo secondo romanzo L'amore e gli stracci del tempo (2009).

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