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mercoledì 16 febbraio 2011

EINAUDI PUBBLICA "CHE COS'è L'AMOR", UN'ANTOLOGIA DI "POESIE PER CHI SI AMA". FATTITALIANI INTERVISTA IL CURATORE FABIANO MASSIMI

di Giovanni Zambito. Già autore dei racconti inseriti in "Di mamma ce n'è una sola" e "Aspettando il Natale. 25 racconti per la vigilia" pubblicati da Einaudi, Fabiano Massimi ha curato la raccolta di "Che cos'è l'amor. Poesie per chi si ama" che la stessa casa editrice ha da poco pubblicato (pp. VIII - 332, € 18,00): un'antologia che accoglie le piú belle e intense poesie della nostra letteratura composte da Petrarca, Leopardi, Michelangelo a Montale, Sibilla Aleramo, Alda Merini passando per Lorenzo de' Medici, Metastasio, Emilio Praga, Ugo Foscolo fino a Erri De Luca. Il volume è suddiviso nelle seguenti sezioni: Ti amo, Lode, L'attesa, Amore infelice, Passioni, Assenze e addii, Il disinganno, Amore e morte, Che cos'è l'amor. Fattitaliani ha intervistato Fabiano Massimi.
Dalla prefazione s'intuisce come Lei ami profondamente la poesia: oggigiorno un'operazione come quella di "Che cos'è l'amor" è allettante dal punto di vista commerciale?
Contrariamente a quello che si pensa, la poesia è un campo molto vivo e frequentato. È vero che al mondo ci sono più poeti che lettori di poesia, ma le collane principali in Italia si sostengono piuttosto bene, e producono cataloghi notevoli ristampati di continuo. La poesia non nasce a fini commerciali, e non si pubblica per arrotondare i conti a fine anno: è un fiore all'occhiello, senza il quale anche il vestito meglio tagliato sembrerebbe incompleto. Nel medio periodo, però, un editore che scelga bene  le sue raccolte può arrivare a guadagnare molto più di quanto non si immagini, e non solo in termini di prestigio.
Con quale criterio s'è orientato nella scelta tanto difficile? La suddivisione in più sezione è venuta contemporaneamente alla selezione?
Il criterio è stato, per una volta, personale. Esistono infiniti canoni e sistematizzazioni, della poesia italiana, ma qui non volevo puntare alla completezza, alla rappresentatività o alla «giustizia letteraria». L'obiettivo di «Che cos'è l'amor» è suggerire ai lettori duecento poesie d'amore potenti e ispirate: per farli innamorare di quest'arte, se non lo sono già; per rinnovare la loro passione, se è di vecchia data. Perciò, posti alcuni punti fissi (limitarsi alla letteratura italiana, che non avverto come un limite; rappresentare tutti i poeti maggiori, ma anche quelli un tempo celebri e poi ridimensionati; fare a meno di qualsiasi nota a pié di pagina) ho accumulato centinaia di poesie d'amore e le ho lette e rilette un bel numero di volte. A ogni passaggio ne lasciavo cadere qualcuna, non perché non fosse bella o interessante, ma semplicemente perché erano più belle o interessanti le altre. Naturalmente secondo me.
Quanto alla suddivisione dell'indice, è nata spontaneamente osservando il ritorno di temi fissi da autore ad autore, di generazione in generazione. Ragionandoci un poco, il motivo è apparso evidente: ogni amore attraversa quelle fasi, prima o poi. E così la raccolta è diventata come una mappa di ogni amore.
Quale particolare insegnamento avuto dai classici porta sempre con sé, nei suoi studi, nella sua attività?
Spesso gli insegnamenti dei classici sono invisibili, perché operano sotto la pelle, a livello molecolare, e ci cambiano in profondità. Ci formano. Forse dovrei dire che non porto con me nessun insegnamento dei classici, perché sono gli insegnamenti dei classici a portarmi con loro. Ma tornando allo scopo della raccolta, una bellissima verità è questa: «Io ho quel che ho donato».
Ha fatto di un verso di una poesia il suo motto?
Non proprio, ma c'è una quartina struggente di D'Annunzio che ho sempre considerato il mio contro-motto: una sfida a vivere in modo da non arrivare mai a dire «Sì, aveva ragione lui». Se siete curiosi, la trovate nella raccolta, in apertura della sezione «Disinganno». L'antidoto è un altro capolavoro dannunziano: la Laus vitae che apre il poema Maia.
Giovani e poesia, connubio difficile?
Dipende: chi scrive poesia con più trasporto di un ragazzo? E chi odia la poesia più di un ragazzo costretto a studiarla? Questione di occasioni: incontrare il poeta giusto, o l'insegnante giusto, può fare la differenza, radicare quel trasporto o quell'odio per sempre. Alla fine non si può che moltiplicare le occasioni, e se son rose fioriranno.
Che cosa si dovrebbe cambiare a suo avviso nell'approccio scolastico ai poeti in modo da studiare anche quelli più vicini a noi nel tempo o quelli considerati "minori"?
Semplicemente iniziare a leggerli ad alta voce in classe, in margine al programma ufficiale. Io ho avuto una carriera scolastica molto lunga in campo umanistico, ma non avevo mai incontrato Antonia Pozzi o Diego Valeri fino a poco tempo fa. Secondo me i ragazzi - diciamo certi ragazzi, perché la poesia può anche non piacere, e non vedo motivi per forzare nessuno - li gradirebbero molto. "Minore" a volte è solo sinonimo di "non innovativo", e chi ha detto che innovare produca poesia migliore?
A quale poeta straniero ne accosterebbe uno italiano, e perché?
Auden a Sbarbaro: per l'intensità che non forza le parole. E infatti resteranno.


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