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martedì 8 gennaio 2013

Federico Zeri, genio della critica d'arte: Fattitaliani intervista il dott. Andrea De Marchi

Guarda l'intervista di Fattitaliani ad Andrea De Marchi. "Sono nato a Roma in via XXIV Maggio il 12 agosto 1921 a pochi passi dal Quirinale e dalle statue dei Dioscuri". La Roma papale accanto a quella imperiale. Federico Zeri, nella sua autobiografia, ricostruisce i propri confini culturali in funzione della precoce vocazione per l'arte e l'antichità classica che segnerà il suo percorso di studioso.

L'incontro decisivo avviene all'inizio degli anni '40 quando, all'università di Roma, frequenta i corsi di Pietro Toesca, con cui si laurea nel 1945. L'argomento della tesi, Jacopino del Conte, un pittore allora trascurato del manierismo romano, è già indicativo di un approccio alla disciplina poco convenzionale. Zeri sceglierà spesso punti di osservazione defilati per interrogarsi in modo innovativo sui grandi temi della storia dell'arte. Ne dà prova in Pittura e Controriforma (Torino, Einaudi, 1957) che, pur richiamando nel sottotitolo il nome di Scipione Pulzone, altro comprimario del tardo manierismo, costituisce una pietra miliare nell'interpretazione storica di quell'epoca.
È lo stesso Toesca a presentarlo a Bernard Berenson, personaggio che affascina profondamente il giovane Zeri che gli dedicherà più tardi il suo volume sul "Maestro delle tavole Barberini" (Torino, Einaudi, 1961). Alla fine della guerra risale la conoscenza di Giuliano Briganti, di Mario Praz e soprattutto di Roberto Longhi, un maestro dal carattere forte e carismatico, con cui Zeri avrà rapporti contrastati, talvolta competitivi.
Entrato nell'amministrazione pubblica delle Belle Arti, nel 1948 è nominato direttore della Galleria Spada di Roma, incarico che abbandona all'inizio degli anni '50 dopo avere licenziato un fondamentale catalogo della collezione (1952).
Di qui in avanti la carriera di Zeri è quella di uno studioso autonomo, ma non verrà meno in lui la coscienza critica nei confronti della tutela e dei legami sempre strettissimi fra le opere e i loro contesti. Attento alla riscoperta di aree marginali della produzione artistica, gli si deve il recupero filologico e storico di artisti dimenticati, di complessi pittorici dispersi, di un'intera geografia figurativa trascurata dagli studi. Lo studioso vi dedica, dal 1948, numerosissimi contributi, notevoli anche per la qualità della scrittura, nitida ed essenziale, calibrata sulla letteratura artistica anglosassone se non addirittura sul linguaggio scientifico; in ogni caso controcorrente rispetto allo stile più allusivo e letterario della cerchia longhiana.
I primi viaggi a Parigi e a Londra fra il 1947 e il '48 lo mettono in contatto con personalità di spicco della connoisseurship internazionale, Philip Pouncey, Denis Mahon, John Pope-Hennessy, Frederick Antal. Degli interessi di quest'ultimo per i rapporti fra arte e società, Zeri si dichiara in seguito debitore.
Il suo approccio filologico all'opera d'arte e il momento rivelatore dell'"attribuzione" non sono infatti mai fini a se stessi. Dimostrano un'attenzione ai dati materiali delle opere, alla loro storia e ai suoi più imprevisti cortocircuiti. Così, partendo dalla pittura del Rinascimento, Zeri finisce per occuparsi anche di falsificazioni artistiche quali momenti rivelatori di un certo gusto collezionistico e di un diverso modo di leggere le opere d'arte del passato.
Fondamentale resta però il metodo del conoscitore, appreso da Toesca, Berenson e Longhi. Primo strumento di lavoro sarà quindi la fototeca che egli inizia a formare dagli anni '40, e che nel tempo diventerà "il più grande archivio privato al mondo sulla pittura italiana", essenziale luogo di ricerca di coerenti serie storiche per ogni opera fuori contesto. Era stato Berenson, del resto, a sostenere che, nella storia dell'arte, "vince" chi ha più fotografie, chi può meglio documentare ogni individuale variante stilistica, nelle diverse epoche.
Questo talento di conoscitore si unisce a un'intensa vita di relazioni che lo mette in contatto con le maggiori personalità di collezionisti e antiquari dell'epoca, fra i quali Vittorio Cini, J. Paul Getty, Alessandro Contini Bonacossi, Daniel Wildenstein.
Di grande rilievo i rapporti con gli Stati Uniti: visiting professor presso la Harvard University di Cambridge (Mass.) e la Columbia University di New York, svolge un ruolo di primo piano nella formazione del Museo Getty di Los Angeles. Redige il repertorio dei dipinti italiani nelle collezioni pubbliche americane (Census of Pre-Nineteenth-Century Italian Paintings..., Cambridge, Mass., 1972; in collaborazione con B. Fredericksen), i cataloghi della Walters Art Gallery di Baltimora (1976) e del Metropolitan Museum of Art di New York (1971, 1973, 1980, 1986).
Muovendosi tra l'Europa, gli Stati Uniti e il Medio Oriente, Zeri, quando non viaggia, tende ad isolarsi nella sua casa di Mentana, fatta costruire sulle sue esigenze di vita e di studioso dall'architetto Andrea Busiri Vici nel 1963. Dall'isolamento nella campagna romana non esita a lanciare i suoi strali attraverso la stampa e la televisione, fino ad imporsi come coscienza critica nel mondo della cultura italiana che gli riserva tardivi riconoscimenti.
Nel 1993 viene nominato vicepresidente del consiglio nazionale dei beni culturali. Nell'aprile del 1997 è ammesso all'Académie des Beaux-Arts di Parigi. Il 6 febbraio 1998, dal rettore Fabio Roversi Monaco, gli è conferita la laurea ad honorem dell'Università di Bologna. La laudatio è pronunciata da Anna Ottani Cavina, Umberto Eco e Pierre Rosenberg partecipano al dibattito vivacissimo che ha luogo, a conclusione del rito, fra Federico Zeri e gli studenti.
Zeri continua a lavorare fino alla fine, perché "ogni giorno porta il suo carico di fotografie e di quadri". Muore a Mentana il 5 ottobre 1998. (Fonte: www.fondazionezeri.unibo)

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