Teo, un bambino di otto anni, si confronta con il tema della morte per incontrare il suo “Supereroe” Napoleone Bonaparte, l’unico, ai suoi occhi, che può aiutarlo a vincere la sua prima grande battaglia, salvare i genitori dal divorzio. Teo affronta con candore e lucidità i grandi temi esistenziali: la morte, l’amore, l’amicizia, la famiglia, offrendo al lettore l’opportunità di interrogarsi a sua volta. Stiamo parlando del personaggio chiave dell'omonimo romanzo d'esordio (Einaudi Stile Libero, pagg. 176, € 16,00) della ventiseienne Lorenza Gentile: una favola contemporanea sulla necessità di trovare una risposta alla morte e alla precarietà esistenziale attraverso l’innocenza dell’infanzia; un trattato di filosofia ironico e divertente, scritto con la semplicità e l’innocenza di un bambino che si ritrova costretto ad affrontare i conflitti e i silenzi della sua famiglia, la diversità dei compagni di scuola, l’adolescenza della sorella, l’incapacità da parte degli adulti di capirlo. Fattitaliani ha intervistato l'autrice.
Hai
subito pensato a Napoleone come eroe preferito di Teo o a qualcun
altro? perché
hai
scelto lui?
L'incipit
del libro, “Mi
chiamo Teo, ho otto anni e voglio incontrare Napoleone”,
non è stato
frutto di una riflessione, ma è nato
in modo fulmineo e istintivo. Napoleone è un
simbolo per me, è la metafora della vittoria: è un
uomo che nonostante le sconfitte ha sempre continuato a combattere.
Si porta con sé un
grande messaggio. L’esempio
del condottiero francese era esattamente quello di cui Teo aveva
bisogno per riuscire a vincere la sua battaglia: far tornare felici i
suoi genitori. Appena l’idea
si è materializzata
nella mia testa ho sentito che era quella giusta. Mi sono messa a
scrivere e non mi sono più fermata.
Puoi spiegare il rapporto fra Teo e il pensiero della morte?
Teo
non riesce ad ammettere il concetto di "non-esistenza", di
fine. E questa è una
caratteristica tipica dei bambini. Spesso quando si finisce di
leggergli una storia loro ti chiedono: "E poi cosa succede?”
e se gli
rispondi che la storia è finita,
loro insistono: “Sì ma dopo?”.
I bambini fanno fatica a comprendere il concetto di limite, di
chiusura. Li spaventa, come d’altra
parte spaventa noi. Per Teo la morte non è la fine, ma
l’inizio
di una nuova esistenza. In cosa consiste questa nuova esistenza è proprio
quello che deve scoprire. Più gli
sfugge, più è determinato.
Ascolta diverse teorie e cerca di formularne una sua personale,
proprio come facciamo noi adulti, ma con l’immaginario
strampalato dei bambini. In
paradiso ci si arriva forse con l’aeroplano
di Dio, per esempio, e per entrare bisogna essere in lista, come in
discoteca.
Hai faticato tanto - mentalmente e fisicamente - per la scrittura del
romanzo? Ce ne racconti un po' la gestazione?
La
prima bozza del romanzo l'ho scritta di getto nel 2009, in meno di
due settimane. Ero completamente coinvolta dalla storia, volevo
sapere come sarebbe andata a finire e non c'era altro modo che
scrivere, per scoprirlo. Ho
ripreso in mano il manoscritto nel 2012, e ho avuto la fortuna di
essere seguita dallo scrittore Mattia Signorini che lavorava come
talent scout per l’agenzia
letteraria di Vicki Satlow, che poi è diventata
la mia agenzia. Durante la seconda stesura, mi sono concentrata sugli
aspetti più tecnici
e ho ideato il finale. C'è stato
poi l’editing
con Rosella Postorino, a Einaudi Stile Libero. Con lei abbiamo
approfondito i temi e i personaggi e scovato le incongruenze che ci
erano sfuggite nella prima fase. Dall'idea
alla pubblicazione del romanzo il percorso è stato
lungo e faticoso, ma anche pieno di bellissime scoperte e di
soddisfazioni: è stata
un'esperienza di crescita fondamentale. Oltre alla determinazione ho
imparato l'umiltà.
Si tende a pensare di aver sempre ragione, soprattutto quando si
parla di un prodotto nato dalla propria personale sensibilità.
Lavorando con dei professionisti ho avuto modo di scoprire che non
sempre è così,
per fortuna.
Le domande che Teo rivolge agli adulti sono le stesse che (ti) facevi
tu?
Le
domande sulla morte, sulla religione e sulla vita sono quelle che mi
stavo facendo al momento della scrittura. Ma le sue osservazioni sono
ispirate a quello che mi ricordo della mia infanzia. Anche a me, per
esempio, piaceva immaginarmi come fossero il paradiso e l'inferno, e
di quest'ultimo ero terrorizzata. Anche
io non capivo bene gli adulti e i loro ragionamenti, seguivano regole
di comportamento che non riuscivo a comprendere.
Studiando, vivendo e viaggiando all'estero hai trovato qualche
risposta soddisfacente (per te stessa)?
Entrando
in contatto con culture differenti e con punti di vista diversi il
mio sguardo sulla vita ha acquistato
un’ampiezza che prima non aveva.
Ho capito che le risposte non sono mai definitive, ma in continua
metamorfosi. Anche le domande, si sono moltiplicate. Attraverso
il confronto ne sorgono sempre di nuove.
Potrà
secondo
te il tuo libro far comprendere meglio il mondo dei bambini? in che
cosa soprattutto?
Sì,
certamente. Il libro è scritto in prima persona. Attraverso
gli occhi di Teo ci caliamo in un mondo che abbiamo dimenticato,
riscopriamo la fantasia, l’innocenza
e la fiducia che anche nelle situazioni più disperate c’è
sempre
qualcosa che possiamo fare. Giovanni Zambito.
© Riproduzione riservata
BIOGRAFIA
Lorenza Gentile è nata a Milano nel 1988, è laureata in Arti dello Spettacolo alla Goldsmiths University di Londra e ha frequentato la scuola internazionale di Arti Drammatiche Jacques Lecoq di Parigi. Questo è il suo primo romanzo di cui scrive la prima bozza del romanzo a soli ventuno anni mentre studia alla Goldsmiths University di Londra Arti dello Spettacolo. Figlia di uno sceneggiatore e una pittrice, discendente del filosofo Giovanni Gentile (suo trisnonno), ha 20 cugini, tre fratelli più piccoli, vive a Londra, dopo aver trascorso un periodo a Parigi.
Nel libro la scrittrice si cimenta in un difficile esercizio di stile, mettendosi nei panni di Teo e raccontandone il punto di vista, aiutando il lettore a comprendere il linguaggio metaforico e fantastico dei bambini.
Lorenza Gentile, vive la scrittura come estrema forma di libertà :“Ho una passione per i bambini, sono stata una pseudo babysitter per i miei fratelli. Il lavoro teatrale mi ha aiutato ad immedesimarmi nel bimbo e nel suo monologo interiore. La mia esperienza familiare è esattamente opposta a quella di Teo, siamo molto uniti, il disagio del bambino in crisi è il mio incubo. Tutti i bambini che ho conosciuto con un problema in famiglia hanno uno sguardo diverso dagli altri.
Teo avverte un disagio, il suicidio deriva dalla curiosità e dal desiderio di fuga ma non dalla volontà di non esistere, il bimbo non comprende il vuoto e non percepisce la differenza tra la morte e la vita. La voce del bambino mi ha aiutato ad esprimere la mia innocenza, quello che penso della morte, a pormi delle domande e darmi delle risposte”.
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